Milano - Addio al posto di lavoro, per cercare opportunità migliori per carriera e stipendio o per far meglio conciliare le esigenze della famiglia. Nella Città metropolitana di Milano crescono le dimissioni volontarie, con un +23% nel 2022 rispetto al 2021, ma dai dati emerge un vero boom di licenziamenti individuali. Addirittura un +78%, senza considerare i contratti a termine non rinnovati. Una fotografia dei cambiamenti attraversati da un mercato del lavoro in assestamento dopo la pandemia che ha travolto alcuni settori, “soccorsi“ da ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti. Negli ultimi due anni sono almeno duecentomila, nel Milanese, i lavoratori di diversi settori che si sono dimessi. Una “great resignation“ sotto la Madonnina spinta da nuove opportunità occupazionali in Italia o all’estero soprattutto per chi ha qualifiche medio-alte. Per le più basse qualifiche, invece, spesso si traduce in una fuga da Milano, verso zone d’Italia dove il costo della vita è più compatibile con stipendi che non crescono, anche nel pubblico impiego.
Le cifre
Secondo un confronto fra i primi otto mesi del 2022 e lo stesso periodo del 2021, su dati dell’Osservatorio mercato del lavoro della Città metropolitana, la crescita percentuale delle dimissioni è del 23%. Da gennaio ad agosto 2021 si sono dimessi 71.456 milanesi, saliti a quota 87.896 nello stesso periodo dell’anno scorso (almeno 100mila considerando tutti i 12 mesi). Un aumento in termini assoluti ma senza una variazione sostanziale rispetto al totale dei contratti a tempo indeterminato o di apprendistato cessati, indicando un consolidamento del fenomeno. Il vero boom, nel 2022, è stato quello dei licenziamenti individuali, che non sono effetto di grosse crisi aziendali, soprattutto nelle piccole imprese. Da 14.435 nel 2021 sono saliti a 25.674 nel 2002, con un +78%. Per quale motivo? Oltre a singole situazioni di crisi, potrebbe essere un’onda lunga dello sblocco dei licenziamenti e del riassestamento di alcuni settori, con un preoccupante “dimagrimento“ degli organici. Ma l’exploit potrebbe nascondere anche “dimissioni mascherate“, con un accordo sottobanco per consentire a chi se ne va di prendere la Naspi, sussidio inaccessibile per chi invece rassegna le dimissioni.
Risoluzioni consensuali
L’unico dato in calo, del 44%, è quello delle risoluzioni consensuali del contratto: nei primi otto mesi del 2022 sono state solo .3560. Crescono invece del 52% i licenziamenti collettivi dovuti a crisi aziendali, che restano però un numero limitato: da 774 a 1053. E il ricorso alla cassa integrazione, in calo ma ancora alto rispetto al 2019, indica, secondo il segretario Uil Salvatore Monteduro, che "continua lo stato di sofferenza di alcune imprese". In generale nel 2022 sono aumentati del 24,7% i contratti cessati, solo per rimanere nell’ambito del tempo indeterminato. Di pari passo, però, sono cresciute anche le attivazioni di nuovi contratti.
Assestamento post-Covid
"Questi dati indicano che il mercato del lavoro si è rimesso in moto – spiega il giuslavorista Maurizio Del Conte – perché in generale il saldo in termini di posti di lavoro è in attivo". Il fenomeno delle dimissioni è un segnale di assestamento post-Covid che nasconde anche una fuga da Milano. Lo stesso Comune ha registrato un aumento dei dipendenti che hanno lasciato, spesso per tornare nel Sud Italia, riavvicinandosi a casa, o per transitare altri in uffici pubblici. Un problema sentito anche da altre amministrazioni lombarde, con concorsi che non bastano per sostituire chi va in pensione, si trasferisce o si dimette. Un terzo dei neoassunti in Atm, secondo un dato reso noto dall’assessore Pierfrancesco Maran durante un’audizione in commissione, si licenzia entro i primi tre anni per il costo della vita troppo alto a Milano. "Degli ultimi 1100 neoassunti in Comune – spiega Stefano Mansi, sindacalista Usi – circa 450 si sono dimessi, anche per andare in amministrazioni che offrono stipendi migliori in una città dove il costo della vita e degli affitti è arrivato a livelli record".