
Una protesta di lavoratori
Milano – I dati sui profitti, in crescita, stridono con la procedura di licenziamento collettivo, la terza aperta nell’arco di 18 mesi. Rischiano il posto di lavoro 42 dipendenti italiani della multinazionale irlandese Icon, che nel nostro Paese ha il suo quartier generale in via Benigno Crespi, zona Maciachini. Un taglio pesante, perché in Italia si contano attualmente circa 700 dipendenti dislocati su tutto il territorio nazionale. L’azienda, che si occupa di ricerca clinica e sperimentazione farmaceutica, è un colosso del suo settore. Lavora con ospedali e case farmaceutiche, conta personale con alte qualifiche. A livello globale si attesta come la seconda impresa del comparto per dimensioni e la prima per il rapporto profitto/dipendente “con un fatturato 2024 che mostra un’ulteriore crescita del 2%”. In un segmento del settore farmaceutico, quello della ricerca clinica, che sta correndo, con una crescita del +7%.
Numeri che, all’apparenza, farebbero pensare a piani di espansione e incrementi degli organici. Invece, denunciano i sindacati Filcams-Cgil Milano e Uiltucs Lombardia, Icon ha presentato la “terza procedura di licenziamento collettivo in 18 mesi”. Una delle due si è conclusa con un accordo che ha consentito di limitare i danni. La terza è arrivata come una doccia fredda, inaspettata, dopo i precedenti tagli.
“Non ci troviamo di fronte alla classica crisi aziendale perché si tratta di una ditta solida e in crescita – spiega Valeria Cardamuro, segretaria della Uiltucs Lombardia – che però sta continuando a tagliare gli organici per decisioni prese a Dublino, che ricadono sull’occupazione in Italia, per aumentare sempre di più i profitti e rispettare standard chiesti dagli azionisti. Vengono tagliate figure che, pur essendo qualificate e con alte specializzazioni, hanno difficoltà nel ricollocarsi perché si tratta di un mercato di nicchia. Chiediamo che l’azienda torni sui suoi passi”.
Una retromarcia che finora non c’è stata. Ieri, durante l’ultimo incontro fra sindacati e azienda, sono stati confermati i licenziamenti collettivi. Intanto l’assemblea dei lavoratori ha proclamato lo stato di agitazione, in una realtà dove non è agevole organizzare iniziative di protesta perché i dipendenti sono sparsi sul territorio o lavorano in smart working.
“Le lavoratrici e i lavoratori – spiegano Filcams-Cgil e Uiltucs – vivono costantemente in un clima di instabilità in cui è difficile operare, il rapporto di fiducia tra dipendenti e azienda è da diversi mesi minato da scelte aziendali che penalizzano soprattutto le risorse umane. L’azienda, anziché rispondere migliorando la continuità dei team di studio e preferire professionalità di alta competenza, continua ad alimentare il turnover del personale e a delocalizzare le attività”. E così “frustrazione per mancanza di prospettive” e incertezza sono i “sentimenti che dominano la popolazione aziendale”. Un caso che non è isolato, perché anche in multinazionali che macinano profitti decisioni prese dall’altra parte del globo finiscono per ripercuotersi sull’occupazione in Italia, perdendo professionalità e competenze.