ANDREA GIANNI
Economia

Milano, l’altra faccia della locomotiva d’Italia: l’occupazione vola ma gli stipendi sono da fame

Per il 40% dei lavoratori le retribuzioni rimangono sotto i 17mila euro annui: per i giovani l’indipendenza è un miraggio. In un anno oltre 224mila dimissioni alla ricerca di paghe migliori

Una manifestazione contro il precariato, che riguarda in particolare i giovani

Milano – Una retribuzione annua inferiore a 17mila euro lordi per quasi la metà, il 40%, dei lavoratori nella Città metropolitana di Milano. Il 47% dei giovani con un posto di lavoro guadagna meno di 14mila euro l’anno, una somma che trasforma in un miraggio l’indipendenza economica. Tutti i 14.676 stagionali sul territorio, inoltre, hanno messo in tasca una retribuzione annua lorda inferiore a 7.000 euro. Dati contenuti in un’analisi della Uil Milano e Lombardia, sulla base dell’Osservatorio Inps sui lavoratori dipendenti del settore privato, che fotografa l’emergenza stipendi, in una città con il costo della vita e della casa salito alle stelle. Lavori con retribuzioni che costringono a vivere in condizioni di povertà, mentre a livello nazionale si dibatte sull’epilogo del reddito di cittadinanza e sul salario minimo.

Il contesto è quello di una generale ripresa occupazionale a Milano, a cui però non ha fatto seguito un miglioramento delle condizioni. Tra aprile 2022 e marzo 2023 Milano, secondo gli ultimi dati di Assolombarda, ha registrato 718.568 assunzioni, di cui il 24% a tempo indeterminato. Nello stesso periodo le cessazioni (cioè i contratti terminati) ammontano a 659.654. Il 34% sono dimissioni volontarie: 224.282 persone hanno deciso di lasciare il posto di lavoro, nella maggior parte dei casi per ricollocarsi altrove. Il saldo fra assunzioni e cessazioni è positivo, con una forte ripresa occupazionale iniziata l’anno scorso e proseguita nel 2023, nonostante crisi e un quadro economico incerto.

Sul tavolo, però, resta il problema dei salari e del precariato. "Non servono voucher o bonus – spiega il segretario generale della Uil Milano e Lombardia, Enrico Vizza – ma bisogna stabilizzare i lavoratori e avviare vere politiche salariali. Quando pensiamo ai grattacieli, al turismo e all’attrattività di Milano dobbiamo essere consapevoli che dietro, a far funzionare tutto, ci sono persone sottopagate. Si deve intervenire tassando gli extraprofitti – conclude – e creando fondi a disposizione delle famiglie meno abbienti".

Un campanello d’allarme suona anche sul part-time, modalità obbligata o scelta da migliaia di donne per riuscire a conciliare lavoro e famiglia. Il 98% dei 429.712 lavoratori part-time ha guadagnato meno di 16.200 euro l’anno. E il 58,5% dei dipendenti con un contratto a tempo determinato, full time o part time, prende meno di 8.200 euro l’anno.

Una sofferenza analoga emerge anche considerando la Lombardia, locomotiva d’Italia: 1.780.107 lavoratori hanno percepito una retribuzione annua lorda inferiore a 18.500 euro, pari a meno di 1.095 euro netti al mese per tredici mensilità. Questo rappresenta il 51% dei lavoratori totali del settore privato. "Bisogna urgentemente rinnovare i contratti collettivi nazionali scaduti e questi devono tener conto dell’inflazione – sottolinea Salvatore Monteduro, segretario della Uil Lombardia – bisogna mettere termine a un precariato selvaggio e al lavoro part time involontario, valorizzare e riconoscere le competenze dei lavoratori con una giusta retribuzione".

Una forbice che a Milano continua ad allargarsi, tra chi guadagna stipendi superiori alla media nazionale e chi lotta per la sopravvivenza. Un quadro che vede anche l’aumento delle dimissioni volontarie, fenomeno che ha diverse letture. "Nella maggior parte dei casi non si tratta di dimissioni per rimanere a casa – spiega il giuslavorista Maurizio Del Conte, presidente di Afol Met, a capo dei centri per l’impiego della Città metropolitana – ma piuttosto per cambiare occupazione, trovando condizioni migliori. Questo avviene quando il mercato del lavoro è dinamico, quando le aziende assumono e quindi si ampliano le opportunità. La leva principale che porta a cambiare lavoro, al di là della ricerca di una migliore qualità della vita, resta lo stipendio, soprattutto in un periodo di aumento del costo della vita come quello che stiamo vivendo".