Lavora per una cooperativa, spesso con orari part time e contratti a termine di breve durata. È straniero e svolge mansioni poco qualificate, in tanti casi nella giungla di appalti e subappalti. L’identikit del lavoratore milanese inquadrato con contratti “pirata“, che bypassano gli accordi raggiunti fra Cgil, Cisl e Uil e associazioni di categoria più rappresentative, peggiorando stipendi e condizioni, è tracciato dall’ultimo rapporto del Dipartimento mercato del lavoro della Cgil di Milano, diretto da Antonio Verona, su dati dell’osservatorio della Città metropolitana. A far suonare un campanello d’allarme è l’impennata di queste forme contrattuali: dal 2015 al 2018, gli avviamenti regolati da contratti collettivi sottoscritti da sindacati non confederali (spesso senza una reale rappresentanza ma in grado di stringere accordi che riducono tutele e garanzie) si attestava a Milano attorno all’1%. Ma dal 2019 l’incidenza dei contratti pirata quadruplica, fino a rasentare il 5%. I settori più coinvolti sono commercio e logistica, servizi alle imprese e alla persona: settori che, da soli, rappresentano l’80% degli avviamenti della Città metropolitana, dove "un terzo della popolazione è costretta al lavoro povero", dietro le quinte dei servizi e del turismo dai numeri record.
Nel 2015 il 93,77% degli avviamenti era regolato da contratti dei sindacati confederali, solo l’1,17% da contratti non confederali e il 5% da "contratto non definito". Nel 2022 il 90,29% degli avviamenti era regolato da contratti dei sindacati confederali, il 4,83% da contratti non confederali e il 4,88% da contratto non definito. Spicca, quindi, la lenta e inesorabile crescita del ricorso ai contratti pirata.
"Da mesi sosteniamo che dipingere Milano e il Paese in crescita – spiega Luca Stanzione, segretario generale della Cgil di Milano – significa non vedere che c’è un trend invertito e che turismo, eventi ed edilizia da soli non basteranno a salvare l’economia milanese. Il Pnrr può rappresentare la leva anticiclica solo se il Governo sarà in grado di tradurre in investimenti le risorse ottenute". Appelli lanciati alla politica, mentre dai dati Istat emergono segnali di crisi occupazionale che a Milano si possono leggere anche attraverso il "calo significativo del lavoro somministrato, da sempre anticipatore dei comportamenti delle imprese" nel mercato del lavoro. "Due fattori agiscono contemporaneamente – sottolinea Verona – il declino della domanda estera e la stagnazione della domanda interna. L’elevata inflazione dei mesi passati e la stretta monetaria hanno fatto il resto – conclude – con il risultato di aver peggiorato le condizioni dei lavoratori".