ANDREA GIANNI
Economia

Stress e aggressioni, fuga dal pubblico impiego. E per l’83% dei lavoratori la paga non basta

La ricerca Cisl sui dipendenti pubblici lombardi. “Gap fra stipendi e carovita”. Il 12% degli addetti subisce violenze fisiche e verbali dagli utenti, il picco nella sanità

Dipendente pubblico (foto di repertorio)

Dipendente pubblico (foto di repertorio)

Milano – Per più di un dipendente pubblico su dieci, il 12%, lo stress lavorativo è legato ad aggressioni, fisiche o verbali, da parte degli utenti. Percentuale che sale al 15,1% tra i lavoratori della sanità, a contatto ogni giorno con le intemperanze dei pazienti o dei loro parenti.

Per oltre la metà del campione, il 50,5%, il motivo principale di stress è però il “carico di lavoro eccessivo”, seguito dalla “carenza di personale per la mancata copertura del turnover”. E il 60% si sente stressato “spesso” o “sempre”. Per la stragrande maggioranza, l’83,2%, la “retribuzione insufficiente rispetto al costo della vita” è il fattore che scoraggia dall’avvicinarsi al pubblico impiego, seguito dalle scarse opportunità di crescita professionale. Il problema, irrisolto, del gap tra stipendi e costo della vita in Lombardia, che rende arduo coprire i buchi negli organici attraverso i concorsi e provoca una fuga da Nord a Sud.

L’allarme sulle condizioni di lavoro nel pubblico impiego emerge da un ampio sondaggio realizzato dalla Cisl Fp Lombardia e dal centro studi BiblioLavoro, su un campione di oltre mille persone. Emerge “la fine del mito del posto fisso”, e un livello di insoddisfazione preoccupante a partire dai salari. “Con il blocco contrattuale del periodo 2010-2019 – spiega Angela Cremaschini, segretaria generale della Cisl Fp Lombardia – il potere d’acquisto nel pubblico impiego è calato del 16% rispetto al privato. Per questo siamo convinti che sia più che mai necessario rinnovare i contratti scaduti. Permangono anche problemi di organizzazione, di carenza di organici e di carichi di lavoro stressanti, a dispetto dell’immagine stereotipata e profondamente ingiusta che vede il dipendente pubblico come un privilegiato. C’è poi il tema della tutela contro le aggressioni – prosegue – soprattutto in ambito sanitario. Nel contratto non siglato della sanità avevamo introdotto il supporto psicologico per le vittime, oltre alla costituzione dell’ente come parte civile nei processi: non si possono lasciare sole le persone che mentre lavorano subiscono atti di violenza”.

A soffrire maggiormente lo stress sono le donne, il personale sanitario e i lavoratori su turni. Circa 7 lavoratori su dieci sostengono di non ricevere alcun supporto per la gestione dello stress dalla struttura in cui operano. Lo stress influisce negativamente sul bilanciamento vita-lavoro (93,4%), determina problemi fisici e disagio psicologico (92%), provoca demotivazione e insoddisfazione (88,4%) e isolamento (83,1%). Se il livello di insoddisfazione è elevato ovunque, la frustrazione cresce soprattutto tra i lavoratori del settore sanitario. Le cause? Turni estenuanti, aggressioni verbali e fisiche da parte dell’utenza e un senso di “insicurezza costante”.