Nell’arco di 18 mesi, tra gennaio 2023 e giugno 2024, oltre seimila dipendenti pubblici hanno rassegnato le dimissioni a Milano e nell’area metropolitana. In un anno, tra il 2022 e il 2023, il numero di occupati nel pubblico impiego è calato del 15%: oltre 32mila dipendenti in meno tra dimissioni, pensionati non sostituiti, mancato turnover. E il 30% dei vincitori dei concorsi rinuncia al posto. L’effetto sono servizi essenziali per i cittadini che vanno in sofferenza, dalla sanità all’istruzione, con un trend che senza un’inversione di tendenza potrebbe portare a un tracollo nei prossimi anni. La causa principale è nel fattore economico, unito alla “scarsa valorizzazione”: stipendi inadeguati rispetto al costo della vita, e in particolare della casa, raggiunto a Milano. Una fotografia scattata da un’indagine presentata dalla Fp Cgil ieri - data simbolica perché a ogni 27 del mese viene consegnata la busta paga - nelle settimana dello sciopero generale proclamato per venerdì da Cgil e Uil. “Stiamo attraversando una “tempesta perfetta” a livello economico, con indicatori che richiamano la crisi del 2008 e fattori strutturali simili a quelli del 1973 – spiega Luca Stanzione, segretario generale della Cgil di Milano – che incidono non solo sul costo della vita ma anche sui salari. A questo si aggiunga un preciso disegno politico di smantellamento del welfare pubblico. Un esempio è l’aumento esponenziale del prezzo delle abitazioni. Abbiamo avanzato una proposta concreta: istituire un fondo pubblico per sostenere la cooperazione a proprietà indivisa”. Il Dipartimento mercato del lavoro della Cgil di Milano, diretto da Antonio Verona, analizzando dati Istat ha messo sotto la lente gli stipendi milanesi.
Un lavoratore nel settore privato a Milano prende in media 133 euro al giorno, il 38% in più rispetto al dato nazionale. Un impiegato pubblico milanese viene pagato invece, in media, 125 euro al giorno. Valori quasi identici rispetto a quelli di altre zone d’Italia, dove però il costo della vita è nettamente inferiore. L’incremento dell’8% rispetto al 2022 non ha compensato l’inflazione. Resta inoltre un pesante divario di genere, perché le donne nei posti pubblici sono il doppio rispetto agli uomini ma in media prendono uno stipendio del 20% più basso, per le barriere che si trovano davanti quando si tratta di raggiungere posizioni apicali. Per questo per un impiegato pubblico non è economicamente conveniente lavorare a Milano, soprattutto quando deve trasferirsi da altre zone e prendere casa. Il privato, soprattutto nella sanità, è decisamente più attrattivo per neolaureati o diplomati.
Fattori che spiegano le oltre seimila dimissioni in 18 mesi, e le riduzioni di organico che colpiscono tutti i settori. Il sistema sanitario milanese ha perso in un anno il 15% dei dipendenti, gli enti locali il 14%, ministeri e magistratura il 9,3%, le forze dell’ordine l’8,3%. “Nel medesimo periodo – evidenzia Lucilla Pirovano, segretaria della Fp Cgil di Milano – il trasferimento di risorse statali al settore pubblico è sceso dell’11%, passando da 7,1 miliardi a 6,3 miliardi di euro. Andando avanti di questo passo, con un calo annuale del 15%, nell’arco di sette anni non rimarranno più dipendenti pubblici a Milano. Per questo chiediamo ai datori di lavoro, come il Comune e la Regione, un patto di fronte a questa situazione di emergenza, chiedendo al Governo provvedimenti concreti e mettendo in campo iniziative locali per il welfare”. Per Alberto Motta, segretario generale della Fp Cgil di Milano, fattori come “la riduzione del personale e la crescente difficoltà di attrarre nuovi talenti sono ostacoli significativi per il futuro del pubblico impiego”.