Milano - Le differenze salariali fra uomini e donne si avvertono subito dopo la laurea o il diploma, con il primo ingresso nel mondo del lavoro. E la forbice si allarga con il passare degli anni, quando spesso la maternità costringe le donne a stare ferme ai box mentre gli uomini fanno carriera e il loro stipendio corre verso l’alto. Il risultato sono dati - analizzati da Cgil, Cisl e Uil - che, nel 2022, dipingono una situazione allarmante in uno dei territori più produttivi d’Italia. La presenza femminile nel mondo del lavoro avvicina Milano alle principali capitali del Nord Europa, ma guardando i salari medi e il "colore" di chi ricopre ruoli ai vertici la parità di genere sembra ancora un’utopia. Le donne nel Milanese, inoltre, hanno pagato il prezzo più salto durante la pandemia, che si traduce in quasi 24mila posti di lavoro femminili persi dal 2019 al 2021. Da 687mila donne occupate nel 2019 si è passati a 664mila l’anno scorso, pari a un tasso del 63% nel 2021. Gli uomini occupati nel 2021 erano invece 788mila, il 72,9%.
Il reddito medio di una donna, a Milano, è di soli 26mila euro all’anno. Diciottomila euro in meno rispetto al reddito medio di un uomo, che si attesta sui 44mila euro all’anno. Sono ben 336mila le donne inattive sul territorio, che hanno smesso di cercare lavoro. Il 29% delle donne lavora part time: per due terzi si tratta di part time involontario, cioè è di una scelta obbligata per poter lavorare. E così il 63% delle 664mila occupate nella Città metropolitana di Milano guadagna meno di 1500 euro al mese, nella città con il costo della vita più alto d’Italia.
"Il gap si avverte non al momento della firma del contratto ma nel salario reale, che aumenta anche grazie a trasferte e straordinari", spiega Melissa Oliviero, della segreteria milanese della Cgil. "A Milano c’è una presenza massiccia delle donne nel lavoro – prosegue – ma la loro condizione è ancora di estrema debolezza, con conseguenze che si sono viste durante la pandemia".
Il divario è provocato da molteplici fattori, fra cui una cultura e un sistema che nonostante i passi avanti degli ultimi anni scarica ancora sulla donna il “peso“ della maternità. "Attendiamo gli effetti del Family Act – spiega Roberta Vaia, della Cisl milanese – per capire se ci sarà una vera inversione di tendenza". Ma la maternità è solo uno dei fattori. "Secondo dati Almalaurea, si avverte già un divario salariale fra uomo e donna un anno dopo la laurea – spiega Paola Mencarelli (Uil) – e la forbice si allarga nei cinque anni successivi, fino alla pensione".
Questo anche per chi si laurea nelle cosiddette materie Stem, la discipline scientifico-tecnologiche sempre più richieste nel mondo del lavoro. Situazione ancora più critica per chi ha interrotto gli studi o ricopre mansioni meno qualificate, spesso ingranaggi della macchina del turismo, degli eventi e dei servizi alle imprese. Nell’area metropolitana ci sono 351mila lavoratori "poveri", con stipendi che non permettono di sopravvivere: la maggior parte di loro sono donne.