Milano – Rischia di concludersi già oggi il confronto sull’opportunità di una legge regionale che definisca l’iter e i tempi con i quali garantire il suicidio medicalmente assistito in Lombardia. A mezzogiorno si riuniranno due commissioni del Consiglio regionale: Affari Istituzionali e Welfare. È la prima occasione per approfondire i contenuti dell’eventuale legge, visto che nell’unica commissione fin qui convocata sul tema si sono auditi i promotori della legge di iniziativa popolare: il Comitato Liberi Subito, guidato dall’Associazione Luca Coscioni, di cui è tesoriere Marco Cappato.
L’ordine del giorno della seduta congiunta in programma oggi al Pirellone prevede l’"illustrazione della scheda per l’istruttoria legislativa". Ma le 36 pagine della relazione curata dal Servizio Studi del Consiglio regionale (le stesse oggi in esame) gettano più ombre che luci sulla liceità di una legge lombarda che vada anche solo a definire la procedura sanitaria e i tempi per garantire il suicidio medicalmente assistito a chi si trovi nelle condizioni individuate dalla Corte Costituzionale: essere capace di intendere e volere, avere una patologia irreversibile portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche, dipendere da trattamenti di sostegno vitale. La sintesi con la quale si conclude la relazione appare, infatti, un richiamo alla cautela perché in dottrina non c’è un orientamento univoco e condiviso sulla delega alle Regioni delle procedure per il suicidio medicalmente assistito. Un richiamo in cinque punti, quello contenuto nella relazione.
Il primo: "Alla luce di quanto sin qui esposto nel valutare un intervento normativo regionale in materia di suicidio assistito, occorre in sintesi considerare che: non vi è uniformità di vedute in dottrina e in giurisprudenza circa gli effetti giuridici della sentenza della Corte costituzionale (dalla quale prende le mosse il comitato promotore della legge ndr ), con particolare riferimento alla sua idoneità ad individuare un vero e proprio diritto della persona malata di accedere alle pratiche di fine vita, con il correlato dovere delle strutture sanitarie di darvi corso, fermo restando il diritto all’obiezione di coscienza del personale medico". Il secondo: "Nel chiamare in causa il legislatore competente a dettare una disciplina organica, la Corte ha fatto riferimento a un intervento del Parlamento nazionale" (e non delle Regioni).
Il terzo: "La dottrina che si è occupata specificamente di tale problematica ha assunto posizioni non unanimi". Il quarto: "Gli organi regionali di garanzia statutaria di altre Regioni (Emilia-Romagna, Abruzzo, Piemonte) si sono espressi nel senso di ritenere ammissibili progetti di legge di iniziativa popolare riguardanti il suicidio medicalmente assistito". Quinto e ultimo punto: "L’Avvocatura dello Stato ha assunto una posizione critica circa la compatibilità costituzionale di un intervento regionale sul punto, che potrebbe esporsi a rilievi di non conformità al quadro costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, risultando potenzialmente implicati profili attinenti alle materie dell’ordinamento civile e penale, di competenza legislativa statale esclusiva".
Un parere simile era stato dato dal Servizio Legislativo e Legale a marzo. E insieme alla relazione appena esposta possono riuscire utili al centrodestra lombardo per chiudere la questione del Fine Vita con un motivato "non si può fare" che eviti che emergano le differenti posizioni sul tema esistenti all’interno della coalizione. Da qui in avanti, nelle commissioni, potrebbero quindi tenersi audizioni fini a se stesse.