
Una foto d’epoca di Antonio Greppi (1894-1982) sindaco socialista della ricostruzione post bellica mentre tiene in braccio la nipote Bianca Dal Molin che alla figura del nonno ha dedicato il libro “Dieci vite in una sola“
Milano – “Se il nonno fosse qui oggi, forse non riconoscerebbe più il suo Paese. Penso sarebbe inorridito. L’anniversario della Liberazione deve essere un punto fermo, per non dimenticare le faticose conquiste per la libertà. Ce n’è bisogno, soprattutto ora. Che cosa sanno i ragazzi e cosa si fa per loro? Sono sempre meno i testimoni, coloro che hanno vissuto “quella“ paura, prima che la Liberazione arrivasse. Liliana Segre parla con i giovani e io mi chiedo che succederà quando non ci sarà più. Mio nonno era uno che quegli anni bui li ha vissuti. Che non ha mai smesso di credere nei suoi ideali antifascisti anche quando si rischiava la vita. E lui ha perso un figlio, lo zio Mario, partigiano, che io non ho mai conosciuto, ucciso dai fascisti il 23 agosto del 1944”. Bianca Dal Molin è la nipote di Antonio Greppi, che fu il primo sindaco di Milano dopo il 25 aprile del 1945. Con un paziente lavoro, la donna, oggi settantaseienne, ha recuperato anni fa gli scritti del nonno, scomparso nel 1982: lettere, articoli, discorsi. Pure un dattiloscritto contenente la sua autobiografia. Così è nato il libro “Dieci vite in una sola. Due voci per una biografia“ (L’Ornitorinco Edizioni).
Vive a Milano?
“No. Oggi vivo ad Angera, sul lago Maggiore, nella casa in cui è nato il nonno. Questo è il mio posto del cuore, la casa dell’infanzia, dove con i fratelli e i cugini trascorrevo le vacanze estive. Il nonno era molto presente: quando ci raggiungeva, era sempre una festa. Con noi nipoti giocava, organizzava delle gare di “temi“ – perché amava la bella scrittura, e lui scriveva anche opere teatrali e non solo – con premi: quello più desiderato da noi bambini era il viaggio in aereo con lui, Milano-Roma, per accompagnarlo quando era deputato. Poi c’era la gita a Venezia, una passeggiata in bici... Per noi organizzava pure delle Olimpiadi in cortile con salto in lungo, corsa, maratona, che attiravano tutti i nostri amichetti. Siamo sempre stati una famiglia molto unita, a Milano abitavamo con nonni e zii in appartamenti vicini, nello stesso palazzo di viale di Porta Vercellina. Sempre uniti, anche perché quello che successe prima del 1945 ha segnato le nostre vite per sempre. Anche di noi bambini che ancora non eravamo nati”.
Che cosa le è rimasto impresso?
“Tanti racconti, innanzitutto, che non dimenticherò mai. Nella mente vedo il funerale dello zio Mario, con due ali di camicie nere, che era il massimo dello spregio per uno che i fascisti li aveva combattuti. Lo portarono fuori dal Policlinico di nascosto, con la bara in tram, per non dare nell’occhio. Mia madre, che era sua sorella più piccola, non si è mai più ripresa. Noi fratelli e cugini, ora che siamo tutti nonni, diciamo sempre di essere stati allattati con latte e lacrime. E poi c’è sempre un senso di ansia, come avessimo un presentimento di qualcosa di brutto che può sempre succedere. Mia madre diceva che “viveva di paura“ quando in casa Greppi era fisso un ufficiale tedesco. Questo fa ancora il fascismo, a più di 80 anni di distanza”.
Resta anche l’esempio di chi lo ha contrastato, no?
“Certamente. Quello del nonno è l’esempio più grande. Un uomo speciale, socialista fino al midollo. Ad esempio, per lui il denaro era “un mezzo per“, non un obiettivo. Già dopo la morte del padre aveva convinto la famiglia a regalare ai contadini le terre di suo padre perché diceva che la mezzadria era immorale. Era stato sindaco di Angera ma si dimise dopo la marcia su Roma, perché con il fascismo non voleva avere niente a che fare. A Milano fu un sindaco amatissimo, c’era un feeling particolare con i milanesi. Ricordo anche il rapporto speciale che aveva con Carlo Tognoli, un amico meraviglioso”.
Lei ha raccolto la sua testimonianza e l’ha trasformata in un libro. Continuerà la missione?
“Prima della pandemia andavo regolarmente a parlare nelle scuole e ancora oggi, quando ricevo inviti, intervengo. Bisogna leggere ai ragazzi, raccontare. Io – che nella vita ho lavorato nel campo del marketing e delle vendite – mi ero prefissata di scrivere la biografia del nonno recuperando i suoi scritti, una volta che sarei andata in pensione. E così ho fatto. Quello che è stato non deve andare perduto: la Liberazione è anche sua”.