
Ernesto Pellegrini
Milano, 14 dicembre 2020 - "Le dispiace se ci sentiamo più tardi? Sa, ho la Messa alle 11.15, poi torno e c’è la partita dell’Inter all’ora di pranzo...". La domenica di Ernesto Pellegrini, all’alba degli ottant’anni, è quella di sempre. Fede (quella vera) e passione (per il pallone). Ovviamente in famiglia. Meglio se col “contorno“ di una vittoria. "Eccoci qua, aspettavo la sua telefonata. E’ stata una sofferenza come sempre, però a Cagliari abbiamo giocato bene. Il successo è stato meritato, ho visto un’ottima reazione della squadra, non è mai facile dopo l’eliminazione da una coppa europea rientrare in campo. Per me un bel regalo di compleanno".
Tutto vero. Al bellissimo traguardo l’ex presidente dell’Inter che si cucì sulla maglia lo scudetto dei record arriva felice, contando anni impregnati di gioia, generosità, ottimismo. Mescolando le scartoffie della vita, rievocando emozioni e ricordi. Perché riavvolgendo il film di una vita intensa, infarcita di passione ed entusiasmo, c’è un po’ di tutto: la periferia milanese, la povertà dell’infanzia, l’oratorio, i calci al pallone e i bagni nelle cave, i campi e le cascine dei nonni, il mercato degli ambulanti. E poi il sogno del ragioniere diventato prima imprenditore e poi presidente della Beneamata.
Presidente Pellegrini, ci dica il primo pensiero nel giorno dell’ottantesimo compleanno . "Ringrazio il Signore. Sono un uomo di fede, sapesse quante volte mi ci sono aggrappato... E io ho avuto tanto dalla vita. Arrivo a questo giorno speciale in buona salute, con una bella famiglia, una figlia che io adoro e chi mi ha regalato due nipotini splendidi. E poi con un’azienda, sottolineo italiana (e con 700 milioni di fatturato, ndr), che rifornisce le mense di mezzo mondo e dà lavoro a 9400 persone in Italia e all’estero, ed è in in continua crescita perché presto supereremo le 10mila unità... non posso che ringraziare". Mica poco visto che in tempo di pandemia in ballo non c’è solo la salute ma pure il futuro di tante famiglie... "Io sono fatto così, mi sono sempre preoccupato degli altri e sono felice di vedere altre persone contente. Succedeva pure da ragazzo quando abitavo in campagna... e riunivo i ragazzi per pulire la cascina e dar loro una piccola mancetta, che ovviamente pagava mio padre (sorride... ndr), perché non avevo soldi. Ma anche adesso vedere persone amiche che sono soddisfatte mi rende felice". Come ci si rialza in momenti così difficili? "Bisogna darsi da fare, questo è il tempo di agire, di non mollare. Perché si può cadere ma bisogna sempre avere la forza di rimettersi in piedi. E io sono certo che Milano e tutto il Paese ce la faranno a riemergere dal buio della pandemia. Sono figlio della guerra, dopo quell’esperienza ho visto persone che venivano in cascina a rubare la legna per scaldarsi e la verdura per mangiare. C’era fame, molta fame, peggio di oggi. E c’era la solidarietà, a casa si divideva quel poco che c’era... Però ci siamo ripresi bene, gli italiani nei momenti difficili sanno superarsi, con grinta e forza d’animo". Le sue parole sono pillole di saggezza, un incoraggiamento per chi è in difficoltà... "Le parole come i ricordi a ottant’anni contano molto, sono valori ed esperienze. Ci sono quelli belli, e sono tanti. Ma ci sono anche quelli tristi. Io prego, l’ho sempre fatto, a mezzogiorno e la sera. E cerco di trasmettere agli altri quel che la vita mi ha insegnato. Ogni mattina, quando arrivo in azienda, passo davanti a Ruben e penso alla gente che la crisi ha messo in mezzo ad una strada: il nostro ristorante solidale non ha mai smesso aiutare i poveri". Già, Ruben, un’idea venuta dal cuore, dedicata ad un bracciante della sua infanzia, morto assiderato in quella baracca diventato oggi un ristorante per aiutare chi è in difficoltà. Come si fa la solidarietà? "Ho sempre sentito dentro di me il bisogno di restituire qualcosa del tanto che ho... Non sono riuscito ad aiutare Ruben, però mi è rimasto sempre il desiderio di far qualcosa per il prossimo. Dal 10 novembre 2014 le cene sono state 329 mila e i posti a tavola da 300 sono diventati 500. Con la pandemia ci siamo aperti a intere comunità di 20 comuni lombardi, distribuendo i pasti all’esterno..." Quanto conta la famiglia nel suo successo? "Tanto, soprattutto mia figlia Laura. Ma poi l’impegno, la tenacia, credere in quello che si fa, l’entusiasmo. Insomma sono i valori che uno porta dentro il segreto per migliorarsi ancora...". Poi c’è il Pellegrini appassionato di calcio... Provi a riassumere i suoi anni da interista... "E’ stato un periodo di popolarità, nessuno mi conosceva. Quando acquistai l’Inter molti dissero: ma chi è Pellegrini? Poi sono arrivati i successi, magari poteva arrivare qualcosa di più... Un giornalista scrisse che le mie vittorie erano stati “tesori piccoli“ considerato l’impegno, la passione, l’entusiasmo e gli investimenti. In effetti mi manca qualche cosa... ma non è tempo per le polemiche. Preferisco ricordare lo scudetto, le coppe, Matthaus, Rummenigge, Klinsmann e i miei campioni". Se ne sono andati Maradona e Paolo Rossi, il calcio bello di una volta... "Era il mio calcio. Maradona dopo un Inter-Napoli che valse per noi lo scudetto lo incontrai nei corridoi dello spogliatoio. Mi venne incontro e stringendomi la mano disse: “Avete meritato lo scudetto“. Di Pablito ricordo un altro aneddoto: andavo a Villar Perosa, che all’epoca era di mia Proprietà ma pure il quartier generale della Juventus. Era la prima partita stagionale dei bianconeri, titolari contro riserve. Paolo Rossi chiese: “Mi accompagna al campo?“ Era in ritardo, presi la vecchia 500 e lo portai. Due persone che rimarranno nella storia del calcio". Fosse stato oggi il presidente avrebbe preso Antonio Conte "Certo, è un grande allenatore, tutti lo vorrebbero. Però vorrei dargli un consiglio dall’alto dei miei 80 anni e della mia esperienza nella gestione degli uomini: di portare più serenità nello spogliatoio. Servono ottimismo, allegria e sorrisi". A proposito: che compleanno sarà per uno come lei abituato a organizzare grandi feste, l’estate in Liguria o in inverno nella sua casa milanese? "Per quest’occasione sarò solo con la mia famiglia, due nipotini e i consuoceri. Nove persone in tutto, niente assembramenti..." A 80 anni si possono ancora fare progetti e grandi sogni? "Certo! Il primo è quello di vedere mia figlia affiancarsi sempre di più, in modo tale che possa guidare quanto prima questa società. E’ ciò che più mi sta a cuore. ma ho altri progetti: abbiamo acquisito una cascina per fare un’accademia di cuochi e una galleria d’arte, e poi un ristorante... Alla mia età mi piace sempre fare e sognare... Così ci si tiene giovani".