
Chantal e Stefano Borgonovo nel giorno del matrimonio
Milano, 1 ottobre 2017 - Quattro anni e mezzo dopo, Chantal Borgonovo racconta la sua parte della storia. Quella della moglie, della compagna, di un amore durato trentuno anni con Stefano Borgonovo, venuto a mancare nel 2013 a causa della terribile malattia chiamata Sla. «E dire che a me il calcio non piace nemmeno...», scherza la signora Borgonovo in conferenza stampa alla Rizzoli Galleria, dove presenta il libro «Una vita in gioco – L’amore, il calcio, la Sla», scritto a quattro mani con Mapi Danna, edito da Mondadori. Il mondo del pallone è presente con una rappresentanza folta e qualificata. Si muove persino Francesco Totti, anche se non si fa vedere durante la conferenza stampa. In prima fila ci sono Jorge Mendes, procuratore di Cristiano Ronaldo, e il direttore tecnico di Suning Sport Walter Sabatini.
Chantal, come definirebbe questo libro? «Parla di una grande storia d’amore. Se non fosse la mia storia crederei di leggere un romanzo. A volte la realtà supera la fantasia». Perché ha deciso di scriverlo? «Per raccontare l’altra parte della storia. Stefano aveva già raccontato la sua nel 2010, io ero indecisa se farlo o meno ma alla fine mi sono detta che dovevo scriverlo ora o mai più». Da dove parte questa racconto? «Dall’inizio del mio rapporto con Stefano, fatto anche di spostamenti, anche se nel calcio di allora succedeva meno e più all’interno dei confini nazionali. C’è stato un momento in cui sembrava che potessimo andare in Inghilterra. A me sarebbe piaciuto, ma mio marito non era convinto. Nella sua carriera ha dimostrato grande carattere, in primis quando ha preso la decisione di smettere, scelta mai facile per un giocatore». Nel corso del racconto, non mancano le vostre litigate in famiglia. «Sì, anche se in realtà ero io che litigavo con lui. Stefano in quelle circostanze era un muro. Una volta litigammo in maniera pesante a Londra, gli lanciai le chiavi della stanza d’albergo e lui non fece una piega. Però non lo ritrovai in camera, tornò direttamente a Udine...». Dopo la malattia, come è cambiato il vostro rapporto? «Lui mi disse che lo avrei lasciato e io mi arrabbiai. Ovviamente non l’ho fatto, avevamo già alle spalle vent’anni di matrimonio e ne ho fatti sette al suo fianco durante la malattia. Purtroppo è mancato proprio un giorno in cui ero fuori di casa, ho vissuto la sua morte al telefono. Ci ho messo un po’ ad accettarlo, ma ora mi dico che è meglio così: meglio che sia accaduto a me, che non alle mie figlie». Come ha ricordato Stefano in questi anni il mondo del calcio? «Ci sono stati tutti molto vicini. Lo facevano con Stefano e ora che lui non c’è lo fanno con me». Quali progetti avete in piedi con la Fondazione? «Stiamo facendo opera di divulgazione. Utilizziamo lo sport più popolare in Italia per trasmettere un messaggio che faticherebbe a passare. In più cerchiamo ovviamente di raccogliere fondi per finanziare progetti di ricerca. Non è facile perché sono anni complicati per tutti, ma nel nostro piccolo andiamo avanti». Che effetto le fa presentare il libro a Milano, dove suo marito ha giocato e dove avete vissuto? «Ho qui diversi familiari in realtà: mia sorella, ad esempio. Conosco molto bene la città, mi piace. Sono stata anche all’ultima partita del Milan in Europa League dove mi hanno donato una maglia con il numero 16, in ricordo di Stefano». Quale parte ha amato di più scrivere del suo libro? «Ce ne sono molte. Non c’è un momento della mia storia con Stefano che amo più di altri. E’ un corollario di tanti momenti».