
Un momento dello spettacolo
Milano - Un rito funebre. Collettivo. Dove fra le lacrime emerge un vero e proprio manifesto pacifista. Un richiamo ai valori fondanti la società civile. Che poi per Euripide significava anche condividere una severa riflessione politica sulla democrazia ateniese e le sue derive. Testo complessissimo "Supplici". Che Serena Sinigaglia ha portato in scena vincendo immediatamente il Premio Anct lo scorso anno.
Da martedì la nuova produzione ATIR arriva al Teatro Carcano, grazie a 7 (meravigliose) interpreti: Arianna Scommegna, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Francesca Ciocchetti, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan e Debora Zuin. Loro le sette madri che reclamano i corpi dei figli morti contro Tebe. Ancora una volta le leggi dell’uomo e non quelle del Potere. Ma sarà proprio quella richiesta ad alimentare di nuovo la violenza, il sangue, il dolore.
Serena, perché "Supplici"?
"Lo desideravo da tempo, lo studio da sempre. E tutto parte dal discorso fra l’Araldo e Teseo, la messa in discussione della democrazia: cos’è? Esiste? Quali sono i suoi valori? Oppure è solo un modo più astuto e raffinato di venderci l’oligarchia? Questo è il cuore di una mia lettura che poi si è aperta a raggiera su tutto il testo, lavorando di cesello su parole nuove. E inserendo in maniera organica autori come Machiavelli o Cioran, ad esempio nella riflessione sulla necessità di imparare a perdere".
Cosa intende?
"Solo nella sconfitta l’uomo ha l’occasione di battere il mostro che si alimenta nel trionfo. È un pensiero di Euripide ma che Cioran rende manifesto, parlando chiaramente alla nostra contemporaneità. E non solo nell’interrogarci sui conflitti. Ma anche di fronte al capitalismo, a questa società in cui ci viene richiesta una costante super-efficienza, quell’idea di auto performatività vessatoria di cui parla Byung-Chul Han".
I contorni del bene e del male sono qui molto sfumati.
"È così. Ed è forse l’aspetto che meno ci si attende da Euripide. Perché in questo lutto feroce che muove la tragedia, in questa richiesta così legittima delle supplici, si nasconde in realtà la miccia per scatenare una nuova guerra che creerà altri morti e altri dolori".
Le sette madri arrivano a domandarselo?
"Sì ma è come se il tutto fosse più forte di loro. Un’immagine perfetta per raccontare l’incapacità dell’uomo di fermare la catena della violenza. E nessuno di noi deve pensare di esserne immune. La guerra è endemica alla storia dell’uomo".
Il cast è bellissimo.
"Sono sette attrici straordinarie, che provengono da percorsi differenti, qui chiamate perfino a danzare e a cantare. Solo grazie alla loro forza e alla loro esperienza è stato possibile fare questo spettacolo. Una lezione di teatro ma il merito è loro, non certo mio. Pensa solo a un’attrice di approccio ronconiano come Francesca Ciocchetti, la cui recitazione entra in connubio con metodi diversi, creando un meccanismo di dialogo che ho cercato anche ad esempio nella musica, dove i cantati polifonici si alternano alla musica elettronica".
È il valore dell’incontro come ulteriore significato politico?
"Esattamente, a teatro come nella vita. Il valore ultimo e fondamentale della conciliazione fra opposti".
Diego Vincenti