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Antonello Venditti nell’ex Area Expo
Milano, 8 ottobre 2016 - «È stato veramente un tour perfetto, con tanto pubblico e un gran bel clima», assicura Antonello Venditti parlando del cammino di “Tortuga”, l’album che dopo un anno e mezzo di repliche lo deposita stasera all’Open Air Theatre di Expò per il congedo finale. Una grande festa a cui i fans del cantautore romano potranno accedere ritirando degli appositi braccialetti in distribuzione a partire dalle 17. «In un’Italia che sta sulle spese il fatto di avere gratuitamente un concerto come il mio è una bella opportunità».
Che show ha in mente?
«In quanto festa di fine tournée, sarà abbastanza diverso da quello al Forum dello scorso dicembre. Per ogni artista l’ultima tappa di un percorso è un’occasione speciale in cui saltano le regole trasformando gli umori di chi sta sopra e sotto al palco negli unici regolatori dei tempi dello spettacolo».
Il suo recente romanzo “Nella notte di Roma” è un “odi et amo” rivolto alla sua città. Cosa odia e ama, invece, di Milano?
«Amo diverse cose, ma sinceramente non riesco ad odiare nulla. La trovo molto ben organizzata, molto accogliente, con un’ottima qualità della vita; tutte caratteristiche che in questo momento ad un romano saltano subito agli occhi. La bellezza della mia città viene dalla storia, ma sentirsi protetti da una grande metropoli come Milano dà una sicurezza che in questo momento Roma non sa offrire».
A marzo diceva: «Rispetto il Movimento 5 Stelle perché non fa parte di coalizioni, non è contaminato da altre forze. Perde da solo o vince da solo, questa è la sua forza». È ancora convinto?
«Assolutamente. Se i 5 Stelle non sapranno governare Roma dovranno recriminare solo su se stessi. Visto lo stato dell’arte, il Movimento era l’ultima speranza rimasta: adesso, però, la Raggi e il suo staff debbono dare prova di saper fare quello per cui hanno chiesto di essere eletti. Anche se, come ho scritto pure nel mio libro, io a Roma non sarei mai andato ad elezioni ma avrei chiesto il commissariamento per mafia».
Regna un certo pessimismo.
«I romani non si lasciano più abbagliare da niente; vogliono i risultati e aspettano. Visto che abbiamo assistito per anni alla vergogna di una politica che si mangiava la città, non vedo perché non dovremmo dare alla Raggi e ai suoi il tempo necessario per organizzarsi e provare a cambiare le cose».
Nel calcio le cose vanno un po’ meglio.
«Già, anche se oggi il calcio in Italia viene vissuto in un’ottica internazionale che supera i campanili per guardare oltre confine. C’è una super potenza chiamata Juve costruita per vincere in Europa e poi ci sono la Roma, l’Inter, il Milan. I bianconeri sono talmente forti da far passare in secondo piano perfino il campionato».
Nel volume autobiografico “L’importante è che tu sia infelice” dice che sua madre Wanda ha lasciato un baule pieno di diari “che non ho il coraggio di aprire, perché temo di scoprirvi una persona diversa da quella che non mi ha mai riservato una buona parola”. Nella vita vuol avere sempre 4, come canta in “Mio padre ha un buco in gola”?
«Alla fine ho scoperto che mia madre sono io. Mi boccio da solo. Mia madre è la mia coscienza e la sua insoddisfazione è la molla che mi ha fatto andare avanti nella vita».
Baglioni aveva pensato di riunire gli stati generali della musica al Circo Massimo per raccogliere fondi per i terremotati di Amatrice e Arquata del Tronto. Poi l’idea è sfumata.
«Non credo più molto a questi momenti di solidarietà. L’esperienza sulle sciagure d’Italia mi spinge ad occuparmi personalmente di ogni cosa così come accaduto in Abruzzo, dove ho contribuito a costruire la scuola di Villa Sant’Angelo. La musica può rappresentare un momento d’aggregazione, ma conta di più l’impegno diretto. Ciascuno, però, è libero di agire come crede».