Quando Serena è arrivata in Cina, con la prospettiva di un lavoro da docente, tutto avrebbe immaginato tranne che di vivere in un lockdown perenne, ancora nel 2022. Serena è una dei 600.000 “expats”, termine usato per descrivere gli immigrati “qualificati”, su un totale di circa 1.4milioni di immigrati. Insieme a lei, sono migliaia gli italiani che stanno vivendo una nuova fase di restrizioni e privazioni di diritti, all’interno del Paese.
“Ho fatto 30 giorni di quarantena, come molti. Vivo in campus, dove nessuno entra, nessuno esce: continuiamo a fare tamponi. Con 17 casi hanno serrato la città. Il picco è stato 70 casi” - racconta al Giorno Serena, docente di lingua e letteratura italiana all’università, nella città di Dalian, il più grande porto petrolifero della Cina, con oltre 6 milioni di abitanti.
Per limitare lo spostamento delle persone il governo ha cancellato collegamenti con treni e aerei. Le città vivono isolate. Anche l’e-commerce è stato sospeso, in un Paese che vive di commercio online, di logistica e di digitale. Agli studenti e ai cittadini è stato detto che il “virus agisce sui pacchi”. Nessuno sa quando e se riprenderanno le normali attività, non ci sono date, deadline, niente.
Nelle strade del Paese iniziano a verificarsi i primi scontri: sulle chat di Weibo e WeChat e sui social cinesi diventano virali i video di risse all’interno dei covid-center, i padiglioni dove vengono effettuati i tamponi. L’umore della popolazione è al di sopra della soglia di controllo. “Sono tutti sono nervosi, tristi, sconfortati - racconta Serena. “La politica di casi zero non è perseguibile. Non si può bloccare una città. I ragazzi che seguo hanno fatto solo lezioni online, psicologiamente non è più possibile reggere. Siamo stanchi.”
Alessandro è un professionista, vive a Shanghai. Il suo palazzo è stato circondato dai controllori del governo cinese: “Quando si verifica un caso, vengono posti sigilli ai palazzi. Nessuno, al di là dei residenti, può entrare o uscire, e tutti gli ingressi vengono registrati”. In alcuni casi vengono eretti muri provvisori, per confinare cortili e stabili. Uno dei muri è stato dipinto con dei murales che invitano alla collaborazione dei cittadini. “Il disagio che viviamo inizia ad essere diffuso, si percepisce ovunque” - racconta.
Per Alessandro, Serena e migliaia di lavoratori stranieri in Cina, la possibilità di abbandonare il Paese, a causa delle eccessive restrizioni sta diventando un’opzione sempre più percorribile: “Sono bloccata in una città per 8 casi, sono stufa di questa situazione, è pesante a livello psicologico ed emotivo. Inizialmente la mia idea era di rimanere 2-3 anni, ma ora non so se resterò più di un altro anno” - confida la docente.
Rispetto all’Italia, la Cina registra quotidianamente molti meno casi di Covid-19, che hanno ripreso a salire dal 23 febbraio, con picco il 5 marzo 2022 con oltre 52.000 casi. Un trend simile è stato registrato a Hong Kong, dove all’aumento di contagi ha fatto seguito un forte aumento dei ricoveri, tale da rischiare di mettere in ginocchio il sistema sanitario. La politica del “contagio zero” è quella perseguita dal Governo Cinese, con o senza la collaborazione dei cittadini, e l’approvazione degli osservatori internazionali.
"In Italia cambiano le regole spesso, e questo può innervosire. La cultura dello Yin e dello Yang mi ha insegnato che possono esserci delle vie di mezzo, tra il nero e il bianco, va cercato l’equilibrio” - conclude Serena, dalla sua stanza di Dalian, mentre sogna di poter vivere, di nuovo, in libertà.