Renate (Monza e Brianza), 6 settembre 2024 – Assa Abloy Italia ha un piano ben preciso: lo stabilimento Valli di Renate deve chiudere il prossimo 31 dicembre.
Lo ha illustrato ieri mattina nella sede dell’associazione industriali di Monza e Brianza, dopo che martedì aveva cominciato ad avvisare i clienti, oltre ai rappresentanti sindacali, dell’intenzione di cessare l’attività nella storica fabbrica di maniglie, fondata nel 1934 da Pasquale Valli e che dal 2008 è passata nelle mani del colosso multinazione svedese, proprietario di oltre 140 marchi nel settore del controllo degli accessi.
Considerando le festività di dicembre, ci sono poco più di 100 giorni per organizzare la chiusura del sipario su questo pezzo di storia industriale della Brianza. "La chiusura del sito produttivo significherebbe privare il territorio di una delle più importanti unità produttive, con un impatto sociale significativo per le lavoratrici, i lavoratori e le loro famiglie", spiegano Marco Ferrari per Feneal Uil, Maurizio Ferrari per Filca Cisl, e Maria Ciociola per Fillea Cgil.
La proposta dei sindacati è innanzitutto quella di avere più tempo a disposizione per verificare eventuali percorsi alternativi e comunque per consentire ai lavoratori di cercare una possibilità di rioccupazione fuori dalla Valli.
Ma a quanto pare l’azienda intende tirare dritto e si è detta indisponibile a esplorare percorsi alternativi. "Di fronte a tale atteggiamento – prosegue la nota congiunta diffusa dai sindacati – le lavoratrici e i lavoratori di Assa Abloy di Renate, insieme a Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, hanno deciso di intraprendere una serie di iniziative e di coinvolgere le parti politiche territoriali. L’obiettivo è di attivare un tavolo di confronto che possa individuare soluzioni e opportunità lavorative per i dipendenti del sito produttivo. Le organizzazioni sindacali rinnovano il loro impegno al fine di tutelare le lavoratrici e i lavoratori, ribadendo che la chiusura di uno stabilimento con tale valore storico e sociale non può essere accettata senza esplorare tutte le possibili alternative".
Se l’azienda non concederà nulla nemmeno sul fronte temporale, confermando l’intenzione di chiudere a fine dicembre, da oggi scatta un conto alla rovescia sulla possibilità per i 38 lavoratori di evitare di restare con un pugno di mosche in mano, potendo contare solo su quello che prevede per loro la legge, ovvero l’accesso alla Naspi per un periodo pari al 50% dei giorni lavorati negli ultimi 4 anni.
Nella migliore delle ipotesi quindi, contributo di disoccupazione al massimo per 2 anni, con il quale nessuno o quasi raggiungerebbe i requisiti per la pensione. Da oggi partono le chiamate alle istituzioni, Comune e Regione in primis, con la speranza che si possano trovare degli spazi di manovra per assicurare un futuro di più lungo termine a questi lavoratori e alle loro famiglie.
"Già dai prossimi giorni ci saranno incontri e confronti ad ogni livello, cercando di coinvolgere tutti i soggetti istituzionali per affrontare questa crisi", conclude Maria Ciociola della Filea Cgil.