DARIO CRIPPA
Cronaca

Carlo Acutis, all’undicesimo piano del San Gerardo, dove morì: “Il grande messaggio di un ragazzo normale”

Il 27 la canonizzazione, occhi puntati sull’ospedale che l’accolse fino alla fine. Don Riccardo Brena: "Non si lamentava mai nonostante la sofferenza"

Occhi puntati sull’ospedale che lo accolse alla fine

Occhi puntati sull’ospedale che lo accolse alla fine

Monza – La sua reliquia ex capillis è in una piccola chiesa al centro di quella che è la parrocchia ospedaliera di San Gerardo dei Tintori. Un ciuffo di capelli, tagliati da sua madre e donati all’ospedale che per tre giorni lo aveva avuto in cura e dove sarebbe morto per una leucemia fulminante il 12 ottobre del 2006. All’ospedale di Monza, in vista della canonizzazione il prossimo 27 aprile, quando Carlo Acutis sarà proclamato Santo, tutto sembra parlare di quel ragazzino di 15 anni che sin da piccolo aveva dedicato la sua vita a Gesù, lo aveva reso protagonista di portali sul web, come un missionario via etere. Troupe televisive da tutto il Mondo fanno la spola in quella chiesetta.

"Carlo era un ragazzo normalissimo", avverte il parroco, don Riccardo Brena. Che racconta. Toccato dalla Fede, all’età di 7 anni Carlo Acutis aveva chiesto ed era stato alla fine accontentato di poter ricevere la comunione con in anticipo rispetto ai suoi coetanei "perché soffriva a non potersi unire a Gesù Cristo ricevendo con l’Eucaristia".

Don Riccardo non ha conosciuto direttamente Carlo. Ma in questi anni all’ospedale, ha raccolto tantissime testimonianze. "Quando arrivò nella camera numero 11 all’undicesimo piano di questo ospedale, dove sarebbe morto, nonostante fosse in grande sofferenza non si lamentò mai. Lucido sin quasi alla fine, medici e infermieri si stupivano. Del resto Carlo, che si era sempre occupato dei poveri a cui portava le coperte, aveva dimostrato di vedere la morte come un momento di passaggio. Sua mamma, che lo scorso anno partecipò a una Via Crucis a Monza, lo raccontava: ’Carlo vedeva la morte come un passaggio’. C’è un video ancora rintracciabile su internet in cui Carlo, all’insaputa della sua famiglia, raccontava: ‘Io sono destinato a morire’. E lo diceva con serenità, senza essere ancora ammalato".

Una consapevolezza precoce, "parole che dette da un ragazzo di 15 anni non possono che stupire, come se avesse pronosticato il suo destino". Poi, quella leucemia fulminante. "Arrivare a morire così, significa avere avuto una buona vita. Il suo parroco a Milano ricorda ancora il primo giorno in cui entrò in quella che sarebbe stata la sua nuova chiesa e vide quel bambino inginocchiato davanti al tabernacolo. E quando gli chiese: ’cosa ci fai qui?’, la sua risposta fu: ‘tengo compagnia a Gesù’. Aveva solo sette anni". Che senso la storia di Carlo Acutis? "Far capire ai ragazzi di oggi che si può vivere con un modello diverso da quelli da cui sono bombardati. La figura di Carlo Acutis attrae, ad Assisi dove è stato sepolto, in tanti portano avanti la sua testimonianza. Una vita vissuta così ha un senso importante in una società malata come quelli di oggi".

Nel reparto in cui Carlo fu ricoverato non si parla di lui, per rispetto dei malati e i loro famigliari si preferisce evitare di raccontare una storia tragica. "Ma chi ne viene a conoscenza spesso ce ne domanda. Una mamma poco tempo fa, dopo un ciclo di cure a cui era stato sottoposto il figlio, si è convinta che l’intercessione di Carlo avesse giocato a suo favore". Che senso ha questa parrocchia? "È il cuore di questo edificio, come diceva Gesù ‘ero malato e mi avete visitato’. Da questo ospedale sono passate le storie di sei Santi".