DARIO CRIPPA
Cronaca

Andrea Oggioni, il ragazzo che scalava le nubi

Sessant’anni fa l’umile operaio di Villasanta con la passione per la montagna moriva tragicamente mentre dava l’assalto a Freney

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Villasanta (Monza e Brianza) - 24 ottobre 2021 - Nella sua Villasanta, gli hanno intitolato una scuola, una piazza e la locale sezione del Cai, il Club Alpino Italiano. Si chiamava Andrea Oggioni, "un viso popolaresco", come lo definì Dino Buzzati, "non ho mai visto nessuno che, pur in così piccoledimensioni, esprimesse un così intenso concentramento di energia fisica". Una passione sconfinata per la montagna, lui che era nato in un paesino nella pianura padana. Eppure era diventato uno dei più grandi alpinisti della sua epoca.

Figlio di contadini, era nato il 20 luglio del 1930 a Villasanta in una cascina. Operaio in una raffineria (la Lombarda Petroli), aveva ottenuto tutti i permessi indispensabili per coltivare quella che era la sua passione. Dopo le prime esperienze sulla Grigna, palestra degli alpinisti lombardi, Andrea Oggioni si era dedicato a cime più impegnative, alle Dolomiti, al Monte Bianco, dove aveva aperto alcune vie importanti: il Gran Diedro sulla parete Est della Brenta Alta nel 1953, la via Concordia sulla Cima d’Ambièz nel ’55, la parete Sud della Cima di Campiglio.

Nomi poco noti forse a chi non si intende di montagna, ma significativi per chi condivide questa passione. Il suo talento lo aveva fatto diventare il più giovane “accademico” del Cai. Al suo fianco, nelle sue imprese, alpinisti già affermati come Josve Aiazzi, amico fraterno, tra i fondatori dei una delle società alpinistiche più attive della Brianza, i “Pell e Oss” di Monza. E Walter Bonatti, destinato a diventare uno dei più grandi. Tagliato fuori, per meschine gelosie interne, dalla possibilità di partecipare alla spedizione sul K2, dopo aver accantonato il sogno dell’Himalaya, Oggioni aveva ripiegato sul Sudamerica. E così dopo le Dolomiti e le Alpi, nel 1961 l’umile ragazzo di Villasanta si era rifatto con la spedizione monzese che aveva dato l’assalto al Nevado Rondoy Nord, sulle Ande di Huayhuash: suoi compagni Walter Bonatti, Bruno Ferrario e Giancarlo Frigeri. Sulle Ande aveva scalato ancora, il mondo era alla sua portata. Ma per lui il detto degli antichi Greci, scolpito in parole immortali da Menandro – “muore giovane chi è caro agli Dèi” – si era tramutato in amara realtà. Sessant’anni fa, il 16 luglio del 1961, Andrea Oggioni fu vittima di un drammatico incidente in montagna: la tragedia del Freney.

Oggioni, che a dispetto della giovane età aveva già messo in carniere un numero impressionante di scalate, decide di unirsi a un gruppo di alpinisti che vuole dare la scalata al pilone Centrale del Freney: una via di salita fino ad allora inviolata, nel gruppo del Monte Bianco. Oggioni non ha ancora compiuto 31 anni, gli mancano pochi giorni. Parte insieme a Bonatti e Roberto Gallieni, poi in quota ai tre Italiani si unisce una cordata di quattro Francesi. Percorsa più di metà della salita, però, un’eccezionale ondata di maltempo li investe. Rimangono bloccati in parete per un’intera settimana, impossibilitati sia a salire che a scendere. Il freddo è terribile. I fulmini si abbattono sulle loro tende sistemate in modo precario sulle cengie. Le forze si assottigliano, la resistenza fisica scema di giorno in giorno, di ora in ora, la disperazione li assale. Alla fine, decidono lo stesso di provare a scendere: solo Bonatti, Gallieni e Mazeaud ce la faranno quasi per miracolo. Sul Ghiacciaio del Frêney si spengono invece per il freddo e lo sfinimento Antoine Vieille per primo, poi Robert Guillaume e Andrea Oggioni e sul ghiacciaio di Châtelet muore anche Pierre Kohlman. Le squadre di soccorso, che pur non hanno ricevuto nessun allarme, partono comunque preoccupate perché non hanno più notizie della spedizione da ore. Ma si fermano a riposare a poca distanza dagli alpinisti. Ad appena un’ora dalla salvezza. Oggioni muore di notte al Colle dell’Innominata. "Non ce la faccio più, ormai di qui non mi muovo", le sue ultime parole. Alle due e un quarto, ormai sfinito, si spegne fra le braccia di Pierre Mazeaud. Che ricorderà anni più tardi: "Io non so l’italiano, ma nella semi-incoscienza intuisco che mi parla dei suoi cari. Sento parlare di Monza, di Villasanta, dove Andrea è nato e c’è la sua casa. Mi guarda e il suo viso è così dolce! Lo tengo contro di me e gli parlo in una lingua a lui sconosciuta. Siamo due uomini che si capiscono, anche se non parliamo allo stesso modo". Bonatti avrebbe scritto: "Una morte da eroe, una morte in stile come lui, in certo senso umile e oscura, una morte da milite ignoto, non da generalissimo, una morte senza bagliori di battaglia". Come ricorda il libro “Le mani sulla roccia”, che raccoglie i diari di Oggioni. poche ore prima di morire il ragazzo aveva confidato a Bonatti: "Noi alpinisti siamo proprio dei disgraziati… con tutte le cose belle che ci sono al mondo, veniamo a cacciarci in queste situazioni…".