di Stefania Totaro
Uno scambio di mail arrivato sotto gli occhi della direttrice della struttura di ingegneria clinica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, e responsabile della gara di appalto per l’acquisto di un acceleratore lineare per radioterapia, dietro il presunto scandalo delle turbative d’asta alla “Elekta spa” di Agrate Brianza. La multinazionale svedese con sede operativa in Brianza, specializzata nella fornitura di macchinari per la cura del cancro, è a sua volta parte civile (insieme a Policlinico San Matteo di Pavia, Azienda sanitaria di Lecce, Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni e altre ancora) al processo al Tribunale di Monza che vede 26 imputati a vario titolo di associazione a delinquere e turbativa d’asta per l’operazione scattata nel 2015, quando il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, in seguito a un’indagine della Procura del capoluogo, aveva messo agli arresti domiciliari 4 tra responsabili e manager della società agratese, indagato altri 22 tra manager e responsabili degli appalti delle strutture pubbliche ed eseguito sequestri di documenti in numerosi ospedali ed enti da Pavia a Bologna fino in Toscana e a Lecce. Indagine poi arrivata per competenza sul tavolo del pm della Procura di Monza Vincenzo Fiorillo. Secondo l’accusa, l’azienda agratese era in grado di presentare offerte “perfette” circa i requisiti tecnici richiesti per le forniture degli apparecchi medici quindi, anche se non erano le più vantaggiose economicamente, riuscivano a sbaragliare la concorrenza.
Nessuna prova di tangenti, infatti l’accusa di corruzione non è contestata, bensì un sistema escogitato di “ricompense” sotto forma di borse di studio finanziate da Elekta ed erogate dagli istituti e dagli ospedali e inviti a partecipare a convegni. Agli arresti domiciliari erano finiti Fabrizio Mannelli, procuratore della Elekta spa, Davide Sebastiano Casolino, direttore delle vendite della Elekta, Francesco Cerillo, manager di area della società e Angela Pallotti, procuratrice dell’azienda. Mentre i manager imputati appartenevano alle strutture sanitarie di mezza Italia. A far partire l’inchiesta alcune mail mostrate all’ingegnere Roberta Pavesi dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano.
"Le mail si riferivano ad accordi con referenti di Elekta per prove del software relativo all’acceleratore lineare oggetto della gara d’appalto, che però non potevano essere fatte perché facevano parte del bando di gara ancora in corso - ha riferito la testimone in aula - Ho informato i direttori generale, amministrativo e sanitario della Fondazione e ho presentato l’esposto". "Dalle intercettazioni è emerso che i contatti tra i referenti della Elekta e quelli delle strutture sanitarie erano molto diffusi e servivano alla multinazionale per ricevere informazioni importanti per redarre l’offerta per i bandi di gara". Accuse negate dagli imputati, secondo cui i contatti non si riferivano agli oggetti dei bandi.