Caponago (Monza) Sarà per sempre il palazzo del Cigno Nero. L’antica magione, ormai semidiroccata, in cui visse fino alla data della sua morte, il 13 febbraio 2016, Marianna Augusta Moneta Caglio Monneret de Villard. Collo alla Modì, erre arrotata, elegante, controversa, era stata soprannominata il Cigno Nero negli anni Cinquanta, quando era stata protagonista del primo scandalo mediatico della storia d’Italia. Stiamo parlando della morte della giovane Wilma Montesi, trovata cadavere su una spiaggia di Torvajanica, forse reduce da una delle feste della gioventù bene romana organizzate dall’allora fidanzato di Marianna.
Marianna, a sprezzo di essere additata al pubblico, aveva trovato il coraggio di parlare, di dire cosa pensava avvenisse in quel mondo bene ovattato. Erede di una famiglia che aveva annoverato nel proprio albero genealogico i proprietari della Zecca di Milano, notai, nobili (lei stessa era contessa e duchessa), addirittura un premio Nobel, era finita sulle prime pagine di tutti i giornali per mesi. Alla fine del processo, tutti erano stati però scagionati, ma intanto un ministro si era dimesso e unica condannata si era ritrovata proprio la superteste, il Cigno Nero appunto (per calunnia, 2 anni e 8 mesi, ma senza un giorno di prigione). Poi, piano piano, la vita era ripresa. Il Cigno Nero si era laureato in Legge, si era sposata con un ingegnere, aveva avuto una figlia, con cui viveva ormi da anni nel palazzo avito a Caponago. Aveva provato qualche anno fa a far riaprire (invano) il processo Montesi per farsi restituire l’onore per una condanna ritenuta ingiusta (e un risarcimento da 46 milioni di euro).
Il problema oggi è quel palazzo che sorge nel cuore di Caponago, ultimo custode dei segreti del Cigno Nero. Un palazzo che si dice risalga al 1200-1300, più volte rimaneggiato fino al secolo scorso, ma ormai da anni in condizioni disastrose. Cadente, in condizioni igieniche precarie, tanto che i vicini lamentano che di lì provenga una colonia di topi che va a infestare anche le case limitrofe. Oggi il vecchio Palazzo Monta Caglio è oggetto di contenziosi con l’Amministrazione comunale. "Hanno sempre voluto cacciarci di qui, già dai tempi di mia madre, ma non ce la faranno. Se vogliono, possono comprarlo, anche a rate" si sfoga Alessandra Ricci, figlia unigenita della Contessa, avvocato penalista. È una storia triste e controversa quella dell’antico edificio.
L’ultimo capitolo è stato vissuto qualche mese fa, quando il Comune ha emesso un’ordinanza (l’ennesima) che impone di non transitare più dal vicoletto adiacente alla proprietà, il Vicolo San Gregorio. Alessandra Ricci non ci sta e promette battaglia. Negli anni i discendenti della famiglia Caglio avevano tentato a più riprese di dare un futuro a una proprietà così ingombrante. Prima, la stessa Contessa aveva donato il palazzo all’Università Statale di Milano, ma non se ne era fatto nulla, tanto che l’edificio era alla fine tornato al mittente. Poi, si era provato a farne una Rsa, una casa di riposo; poi degli appartamenti, ma ogni volta il desiderio iniziale si scontrava con la realtà. "Non volevamo venderlo a dei palazzinari" ci aveva confidato qualche anno fa la stessa Marianna Augusta Moneta. L’ultimo tentativo, qualche mese fa, era stato quello di trasformarlo in un Museo. In fondo, la storia dei Moneta Caglio, che all’Italia avevano dato una zecca e un premio Nobel per la Pace (Ernesto Teodoro Moneta) poteva giustificare questa ambizione. Ma anche qui, non ne era sortito nulla. E il “crowdfunding” lanciato per raccogliere i fondi necessari a dare concretezza al progetto era miseramente naufragato in un nulla di fatto.
Ora l’ultima querelle . Spiega l’avvocata Ricci. «Si asserisce che la proprietà non avrebbe mai risposto alle comunicazioni dell’ufficio tecnico per quanto concerne un tratto di muro perimetrale “pericolante” prospicente (prospicente, cioè vicino, non in aderenza) a Vicolo San Gregorio. La parte “pericolante” è in realtà la mancanza di inerti cioè sassi e laterizi che componevano il muro. Tale materiale è stato asportato da bande di ragazzi che tentavano, commettendo un reato, di introdursi nella mia proprietà, tali azioni hanno testimoni che hanno anche girato dei video comprovanti il fatto, e tale stato delle cose è notificato da me in Comune previa denuncia ai carabinieri di Agrate". Sempre secondo l’avvocata Ricci, un sopralluogo proverebbe "la staticità della struttura muraria e la non sussistenza di pericolo di crollo". Anzi, "la proprietà ha messo in sicurezza la parte “ammalorata” con un telo impermeabile fissato con chiodi al fine di evitare il dilavamento di acque piovane e di fermare l’eventuale disgregamento". "La proprietà - la conclusione - ha deciso definitivamente di vendere e lasciare il Palazzo con il suo carico di storia, e forse, di misteri… Di sicuro ciò che il palazzo ha, sotto la sua rude bellezza, custodito per decenni ora è custodito in maggior sicurezza oltre altre sicure porte. Lontano da Caponago , dove non tornerà mai più". "Questa era una villa di delizia – spiega ancora – ci sono due piani da 750 metri quadrati l’uno, soffitti altri sei metri, un pavimento in cotto che risale al Seicento, boiserie in legno intarsiato e cassettoni istoriati… e una torretta di 300 metri quadri…". Il guaio è che è tutto cadente e in gran parte ormai inaccessibile. "Voglio soltanto vendere e tornarmene a Milano" spiega la figlia. Prima che cada tutto a pezzi.
La sindaca di Caponago, Monica Buzzini, è amareggiata: "Sono stata costretta a chiudere quel vicolo, o meglio a impedire che venisse aperto, con un’ordinanza specifica, che si aggiu ge a un’altra ordinanza dell’Ats, che dopo una visita nel palazzo ha chiesto un intervento drastico. Devo tutelare la popolazione che utilizzava ancora quel passaggio. Mi spiace molto per la proprietà, non ce l’ho assolutamente con loro, anzi forse sono l’unica che ha cuore le sorti di quel palazzo. Ma il degrado è eccessivo, già a spese del Comune abbiamo impiegato ventimila euro per pulire il giardino. Non si può andare avanti così. Devo pensare al bene anche degli altri cittadini".