
Marianna Moneta Caglio
Caponago (Monza e Brianza), 28 febbraio - Per una vita, lei e sua madre se ne sono sentiti dire di tutte. «In paese c’erano persone che mi insultavano quando mi incontravano – ricordava anni fa -, per fortuna però c’era anche tanta gente che mi ha sempre incoraggiato. Dura vivere così, col peso di essere stata il Cigno Nero».
Marianna Augusta Moneta Caglio Monneret de Villard è morta il 13 febbraio scorso, ma la notizia – trapelata solo un paio di giorni fa – ha già fatto il giro del mondo. «Mi hanno chiamato da ogni parte – ricorda la figlia Alessandra Ricci, avvocato penalista -: la cosa che fa male sono le voci di paese, quando trovano ascolto al di fuori di una dimensione da chiacchiere da bar». Facciamo chiarezza, allora? «Mia madre è morta la mattina del 13 febbraio. Le ho portato il latte, l’ho lasciata in camera da letto con ai suoi piedi come sempre il cane, che a tratti ho sentito uggiolare ma senza preoccuparmene. Quando sono tornata a controllare – erano le 10.30 circa - mia madre era morta. In un quarto d’ora si era spenta. Non si muoveva più da almeno due anni, dopo il secondo degli ictus che l’avevano colpita. In più soffriva di cuore e aveva un principio di morbo d’Alzheimer». A quel punto, la figlia chiama la guardia medica (il medico di famiglia al sabato non c’è) e le pompe funebri. «La guardia medica però si è rifiutata di firmare il certificato di morte naturale, ma ci hanno pensato il medico legale e i carabinieri a fare chiarezza: mia madre era morta di vecchiaia». In paese, alla vista soprattutto dei carabinieri, si diffonde perà la voce che l’anziana – aveva 86 anni e mezzo – fosse morta addirittura dal venerdì, qualcuno - suggestionato forse dal suo passato da cronaca nera - si spinge addirittura ad avanzare l’ipotesi di una morte sospetta. L’avvocato Ricci allarga idealmente le braccia: «Medico legale e carabinieri non hanno avuto dubbi: mia madre è già stata cremata e ora tenteremo di portare le sue ceneri al cimitero monumentale. Desiderava stare vicino al padre e alla nonna paterna, che l’aveva cresciuta da piccola». E l’autobiografia scritta da sua madre, di cui avevamo parlato? «Non so ancora cosa fare».
Marianna Moneta Caglio era stata soprannominata il Cigno Nero negli anni Cinquanta, quando era stata protagonista del primo scandalo mediatico della storia d’Italia. Stiamo parlando della morte della giovane Wilma Montesi, trovata cadavere su una spiaggia di Torvajanica, forse reduce da una delle feste della gioventù bene romana organizzate dall’allora fidanzato di Marianna, erede di una famiglia che aveva annoverato nel proprio albero genealogico i prorietari della Zecca di Milano, notai, nobili (lei stessa era contessa e duchessa), addirittura un premio Nobel. Alla fine del processo, tutti erano stati però scagionati, ma intanto un ministro si era dimesso e unica condannata si era ritrovata la superteste, il Cigno Nero appunto (per calunnia, 2 anni e 8 mesi, ma senza un giorno di prigione). Poi, piano piano, la vita era ripresa. Il Cigno Nero si era laureata in Legge, si era sposata con un ingegnere, aveva avuto una figlia, con cui viveva ormi da anni nel palazzo avito a Caponago. Aveva provato qualche anno fa a far riaprire (invano) il processo Montesi per farsi restituire l’onore per una condanna ritenuta ingiusta (e 46 milioni di euro). Palazzo Moneta Caglio, l’antico maniero ormai diroccato in cui viveva la contessa, è in vendita già da un po’. Tramontata l’iniziale ipotesi di trasformarlo in residenza per anziani, sarà destinato a convertirsi in residenziale (per una cifra importante, ma comunque inferiore ai 2 milioni e mezzo di euro). Ci sarebbero già diversi compratori alla finestra: dalla Svizzera e da Como. L’impegno della figlia e del suo compagno (l’architetto che sta curando la vendita dell’immobile) è comunque di mantenere il nome di Marianna Moneta Caglio, a cui potrebbe essere riservato anche un ricordo dell’epoca in cui la bella giovane nobildonna dalla erre moscia e dal collo alla Modì aveva sfiorato il mondo del cinema. E si era ritrovata invece in una tragedia più grande di lei.