CRISTINA BERTOLINI
Cronaca

"Com’eri vestita?". I manichini choc in mostra raccontano storie di violenza

Dall’incubo alla festa di laurea alla baby sitter abusata dal padrone di casa. Con i verbali di polizia alla mano sono stati ricostruiti i drammi di 17 vittime.

"Com’eri vestita?". È la domanda che arriva puntualmente alle vittime di violenza, come se un abito aderente o paio di jeans e una maglietta, possano legittimare una violenza.

La domanda bruciante diventa il titolo di una mostra allestita nei locali aperti al pubblico della Prefettura di via Montevecchia, allestita da funzionarie e impiegate della Prefettura di Monza che hanno cercato abiti in tutto simili a quelli indossati da 17 donne vittima di violenza, come riportato dai verbali, indossate da manichini accanto alla sintesi di ciascuna storia. Si va dalla ragazza che indossava un tubino nero mentre festeggiava un esame universitario, all’adolescente introversa e silenziosa con maglione e pantaloni larghi, alla baby sitter di una famiglia bene, abusata dal padrone di casa, alla signora di mezza età con un abito a fiori, vittima di un anziano apparentemente dolce e saggio. C’è anche la storia di una ragazza non vedente in tailleur grigio il giorno della laurea in Giurisprudenza e della signora con il grembiule azzurro di un’impresa di pulizia. Mille storie e mille outfit tutti diversi, ma accomunati dal senso di schifo. "Il progetto in collaborazione con l’associazione “Libere sinergie” - ha spiegato la prefetta Patrizia Palmisani - si pone l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sul fenomeno della violenza di genere. Sono molto orgogliosa della mostra, perché si tratta di un’idea di grande impatto e perché è stata realizzata inhouse". Dal 2018 “Libere sinergie” promuove queste mostre in giro per l’Italia. "Siamo mamme di figlie femmine e figli maschi - racconta un’impiegata - vittime e aggressori potrebbero essere loro. Vedere tutti i manichini in gruppo in ufficio durante l’allestimento è stato un colpo al cuore". L’esposizione restarà allestita per due settimane nel corridoio di accesso all’Ufficio Passaporti, dove cioè passano uomini e donne di ogni estrazione sociale e culturale.