Monza – Confermate la condanna del chirurgo estetico per la morte di Maria Teresa Avallone. Lo ha chiesto la Procura generale della Corte di Appello di Milano ieri all’udienza di discussione del ricorso presentato dalla difesa del medico con studio a Seregno, Maurizio Cananzi, contro la sentenza del Tribunale di Monza che gli ha inflitto 16 mesi di reclusione, seppur con la pena sospesa e la non menzione della condanna sul certificato penale, per omicidio colposo. La vittima, 39 anni, impiegata all’ufficio accettazione del San Raffaele di Milano e residente a Desio, è morta nel 2019 per un intervento estetico di sollevamento dei glutei dopo 3 giorni di coma provocati da ben 32 minuti di arresto cardiaco prima dell’arrivo dei soccorritori, che erano riusciti dopo 17 minuti di manovre a rianimarla. Ma nel frattempo i danni cerebrali erano irrecuperabili.
Al processo si è costituito parte civile il fratello di Maria Teresa, Antonio, di professione avvocato, che ieri ha chiesto a sua volta attraverso il suo legale la conferma della sentenza monzese che ha riconosciuto una provvisionale sul risarcimento dei danni di 80mila euro. Per il giudice Carlo Ottone De Marchi (che ha firmato le motivazioni della sentenza) il chirurgo, che ha operato "senza l’ausilio di un secondo operatore, come imposto, oltre che da generali norme di cautela, in forma specifica dalla legislazione, non ha adeguatamente affrontato l’emergenza cardiaca utilizzando il defibrillatore e non ha praticato un massaggio cardiaco adeguato senza procedere all’ossigenazione della paziente ed effettuando compressioni poco efficaci e in una posizione non corretta, come peraltro indicato dall’operatrice del 118 intervenuta".
Maria Teresa si era recata il 5 marzo del 2019 nello studio medico per il trattamento in day hospital. Non era la prima volta che si sottoponeva a piccoli ritocchi, anche con somministrazione di anestesia locale. Ma quel giorno, secondo la ricostruzione, pochi minuti dopo l’anestesia la donna è andata in arresto circolatorio dopo una crisi convulsiva di tipo epilettico come reazione rara a un dosaggio regolare di anestetico. Il chirurgo, che in quel momento si trovava da solo con la paziente all’interno dell’ambulatorio per l’assenza della moglie che solitamente lo assisteva, ha iniziato il massaggio cardiaco e ha chiamato il 118. Il medico nega che il defibrillatore fosse utilizzabile per la presenza di flusso elettrico da lui riscontrato dai parametri della paziente e il suo avvocato ne ha chiesto nuovamente l’assoluzione. Si torna in aula a fine gennaio per la decisione dei giudici milanesi.