
Il direttore generale dell’Asst di Monza, Mario Alparone
Monza, 17 aprile 2020 - I contagi in Brianza sono arrivati a quota 3.932, 54 in più nell’arco di 24 ore. In linea con la media degli ultimi giorni. Ma il dato che emerge, anche a livello lombardo, è il calo della pressione sui pronto soccorso e del numero dei ricoveri in terapia intensiva. A quasi due mesi dall’inizio dell’emergenza, il direttore generale dell’Asst di Monza, Mario Alparone, ricostruisce la cronaca di una risposta senza precedenti a un nemico invisibile.
Direttore, qual è stato per Monza il momento che ha segnato l’inizio dell’emergenza? "Ci siamo subito attivati venerdì 21 febbraio dopo la riunione con il nostro assessore (Giulio Gallera, ndr) che ha dato da subito le prime linee guida per la gestione dell’emergenza. Sabato 22 avevamo già costituito l’unità di crisi con la quale sto gestendo ininterrottamente da quella data l’emergenza. Era importante costituire da subito certezza ed immediata esecutività della linea di comando". In pochissimi giorni è stato completamente riorganizzato l’ospedale, dai reparti ai turni. Cosa vuol dire in termini pratici per un ospedale ad alta specialità come il San Gerardo? "È stato un crescendo molto rapido, per dare un’idea, solamente al San Gerardo siamo passati da 6 casi di quel weekend ai 70 casi di quello successivo per poi raddoppiare i casi di settimana in settimana fino al picco a fine marzo con 458 pazienti gestiti a Monza e 130 a Desio, oltre 588 pazienti, da quella data poi è iniziata una graduale riduzione. Dal punto di vista organizzativo è stata una completa rivisitazione di percorsi e processi ed utilizzo di reparti. Avevamo appena completato il cantiere del blocco B al San Gerardo (oltre 300 posti letto) e ci apprestavamo a popolarlo con i reparti tradizionali spostati in tempi record da quelli A e C ed invece lo abbiamo riempito di reparti per accogliere i pazienti positivi al virus. Nel massimo momento di espansione al San Gerardo avevamo oltre 670 posti letto contro i 600 di inizio anno di cui appunto 500 destinati a pazienti positivi. La stessa cosa è successa a Desio. Ogni giorno programmavamo per i due giorni successivi lo smontamento di un reparto e la costruzione di un altro con un unico obiettivo. Non lasciare nessuno fuori. Seguendo le indicazioni regionali abbiamo prima fatto cessare le attività chirurgiche di elezione e quelle ambulatoriali non urgenti ed utilizzato ogni dipendente per poter fronteggiare questo flusso di pazienti. Abbiamo riorganizzato il pronto soccorso con percorsi separati e predisponendo, con l’ausilio della protezione civile un pre-triage esterno che ci desse la possibilità di dividere sin dall’inizio i pazienti sintomatici da quelli asintomatici. Abbiamo dovuto rivedere i percorsi pulito-sporco in continuazione per garantire il funzionamento in sicurezza dell’ospedale". Come è cresciuta la curva dei ricoveri? "Come dicevo in maniera molto rapida. Da inizio aprile stiamo assistendo a una riduzione che è diventata marcata nel momento in cui il totale accessi è diventato più basso di quello delle uscite intorno al 3-4 aprile. Siamo riusciti a gestire l’ondata grazie alle qualità cliniche dei miei operatori sanitari perché le uscite e le dimissioni sono cresciute ad un ritmo maggiore degli ingressi, testimoniando appunto la nostra qualità". Siete uno degli ospedali con il maggior numero di letti di terapia intensiva. Oggi la pressione, anche sul pronto soccorso, sta diminuendo? "Siamo arrivati a oltre 100 posti letto di terapia intensiva di cui 40 realizzati in sole due settimane. Oggi la pressione sul pronto soccorso è in diminuzione sui pazienti Covid positivi e, per fortuna, in incremento su quelli negativi tradizionali. In particolare i ricoverati riguardano soprattutto pazienti neurologici e cardiologici per i quali siamo nel gruppo dei 18 centri hub regionali sulle patologie ad alta complessità. Per questo abbiamo riaperto gradualmente posti letto per pazienti non Covid e grazie alla riduzione dei pazienti in terapia intensiva dalla prossima settimana incrementeremo le sedute operatorie". State affrontando un impegno straordinario, avete dovuto fare i conti anche con fisiologici contagi tra il personale? Come siete riusciti a mantenere invariata la capacità di cura, anzi ad averla progressivamente aumentata? "Direi che ce la stiamo cavando abbastanza bene confrontando con altri casi, abbiamo un livello di contagi su dipendenti relativamente basso - circa il 4,5 % della nostra forza lavoro compresa la Fondazione Mbbm - anche grazie ad un programma per il quale abbiamo sottoposto a screening oltre 1.600 dipendenti di cui 950 asintomatici che lavorano nei reparti con pazienti maggiormente fragili e quindi con rischio più alto tra cui oncologia, ematologia, cardiologia, nefrologia, ostetricia e pediatria". I vostri laboratori quanti tamponi possono processare al giorno? "Siamo partiti da 120 e siamo arrivati a 500. L’incremento deriva anche dalle richieste che provengono da Ats per supportare il nostro territorio, Rsa comprese". Quanto conta avere consolidato il rapporto con l’università Bicocca? "Tantissimo, a parte il fatto, non indifferente, che avevo la fortuna di avere nella mia unità di crisi 10 straordinari professori universitari, fantastici professionisti ma soprattutto donne e uomini eccezionali che mi hanno aiutato con la loro competenza a gestire al meglio gli aspetti delicati di questa nuova malattia sia per quanto riguarda gli aspetti di tipo epidemiologico sia per quanto riguarda gli aspetti clinici che spesso comportavano fasi acute della malattia tanto da dover ricorrere a ventilazione assistita se non a terapia intensiva. Il prorettore della facoltà di medicina della Bicocca, professore Erik Sganzerla, e il professore Andrea Biondi, solo per citarne alcuni, mi hanno accompagnato giorno per giorno nel prendere e condividere tutte le scelte. A loro ed a tutti i componenti dell’unità di crisi va il mio più grande ringraziamento oltre che a tutti i sanitari. Ci siamo riuniti due volte al giorno sabato e domenica compresi. Semplicemente straordinari. Sapete inoltre quanto sia importante la ricerca per comprendere meglio questa malattia e poter capire meglio come affrontarla ed abbiamo in questo momento oltre 10 sperimentazioni in corso grazie alla collaborazione tra università e ospedale" Reparti Covid, ma l’ospedale è comunque riuscito a mantenere anche un’attività ordinaria per determinati interventi programmabili ma urgenti... "Certo, in campo neurologico stroke e cardiologico dove, per il primo, i casi del Papa Giovanni XXIII di Bergamo e del San Raffaele di Milano giungevano a noi. In conclusione vorrei ringraziare il cuore con il quale tutti i dipendenti, con eccezionale spirito di squadra e grande abnegazione, hanno garantito le cure a chi ne ha avuto bisogno. Adesso comincia la nostra fase due per la quale siamo già al lavoro con degli appositi gruppi di lavoro strategici. La nostra forza è stata la nuova maniera di lavorare e lo sarà anche per il futuro".