Ha un sorriso che comunica empatia. Ha l’abitudine di rivolgersi agli altri guardandoli negli occhi perché sa che, facendolo, riesce a comunicare più di quanto sappia fare con le sole parole. E ha un ego decisamente sotto controllo, virtù rara nel mondo autoreferenziale della ristorazione. Insomma, un incontro piacevole quello con Dhian Singh. Ed è una vera scoperta questo cuoco indiano e Sikh, diventato un interprete fedele della cucina italiana nel locale che ha aperto con la moglie Elena qualche anno fa, a Meda, in corso Matteotti. Indirizzo ispirativo. Come il nome - Il Gusto della Vita - che marito e moglie avevano voluto dare al loro ristorante, inizialmente aperto a Monza. Bello ascoltare la loro storia: lei, 21enne seregnese, che raggiunge Francoforte per perfezionare lo studio delle lingue. E lui, 19enne, figlio di contadini in un paesino a pochi chilometri da Delhi, che raggiunge la financial city tedesca dopo un viaggio a piedi di oltre 2 mesi attraverso la Russia e la Polonia riuscendo ad ottenere l’asilo politico e un permesso di soggiorno. Una bella parabola.
L’incontro galeotto tra i due giovani in una trattoria italiana dove entrambi lavoravano, il batticuore che diventa amore, infine la decisione: coronare il legame al di qua delle Alpi. Scelta allietata da due figli (oggi hanno 10 e 16 anni). E sublimata nell’apertura di un ristorante tutto loro. Per 17 anni a Monza, in via Bergamo. Quindi a Meda, destinazione scelta a dispetto della perplessità di amici e conoscenti. "È un paese morto. Finirai per pentirti", ripetevano tutti. Ciechi e prevenuti. "In realtà ho scoperto che da queste parti c’è tanta ricchezza anche se poco sfoggiata – racconta Dhian –. In questo i medesi ricordano i miei connazionali indiani, specie quelli benestanti, che considerano l‘understatement come uno stato dell’anima". Domanda istintiva: ma i brianzoli non le sembrano un po’ chiusi?. Risposta: "Forse all’inizio, perché hanno bisogno di studiarti. Ma quando ti conoscono, ti danno il cuore". Tant’è. Nel 2018 “Il Gusto della Vita” rinasce nella sua attuale collocazione e in pochi mesi si prende le sue strameritate soddisfazioni. Con tanto di riscontri: da parte dei grandi brand locali del design, ma anche dei gourmet. Che cominciano a familiarizzare con questo chef di un altro pianeta che firma una cucina sana italiana, principalmente di pesce.
E con questo ristorante, elegante ma senza spocchia, ingentilito dalle opzioni decorative consigliate dall’architetto Annamaria Farina: valorizzare estetica e funzionalità di quella che un tempo era una vecchia Latteria e rendere godibile lo scantinato oggi trasformato in una deliziosa cave con mattoni a vista dove organizzare pranzi, cene aziendali e degustazioni. Come dire: il contest c’è ed è pure piacevole. Come lo è la proposta culinaria di questo cuoco originale e competente, ancorché poco portato agli eccessi del fine dining. E come lo sono alcuni piatti iconici. Come l’insostituibile “Pacchero con pesto di pistacchio e gamberi rossi” che non esce mai dalla carta. O il tonno pinna gialla alla griglia con salsa vitellata. Anche se è comprensibile la tentazione di scommettere sugli “Gnocchetti di pane raffermo con crema di zenzero e bocconcini di gallinella” o sulla “coda di rospo con impanatura al nero di seppia e disco di zucchina alla griglia”, pietanze tutte accompagnate dai puntuali consigli enologici della signora Elena, maître e sommelière.
E l’atmosfera? Garbata e gradevole. Perché il tandem Dhian ed Elena è inossidabile. E con loro lavorano ragazzi e ragazze (Marco e Giulia in sala, Antonio e Rachid in cucina) che lasciano intravvedere un senso di appartenenza essenziale quando si vuole fare squadra. Resta da scegliere il dessert, tra il semifreddo allo zenzero con salsa di lamponi e il tiramisù con crumble al cacao. Ma il gran finale è un altro. Dhian che esce dalla cucina. Dhian che si accomoda a fianco dell’ospite. E Dhian che si mette a disquisire sull’emozione che lui spera di riuscire a trasmettere a chi frequenta il suo locale: il Gusto. Della vita.