DARIO CRIPPA
Cronaca

"Io, Dori Ghezzi, uscita dalla Brianza..."

La cantante ripercorre la sua vita e l'incontro con Fabrizio De Andrè

Dori Ghezzi

Lentate sul Seveso, 13 marzo 2016 - "Trovavo giusto fondermi con lui e dargli forza... a un certo punto, ricordo che addirittura voleva smettere di cantare, aveva bisogno di una sponda, di un approdo, di un confronto. E io? Beh, io cercavo qualcuno che mi capisse nel vero senso della parola, qualcuno che capisse che non ero solo una cantante carina". Nata il 30 mrzo 1946 a Lentate sul Seveso, Dori Ghezzi è sempre una bella donna, anche se il viso è inevitabilmente solcato dai segni dell’età e da un carico di malinconia. Nello studio milanese della Fondazione De Andrè, che cura con determinazione da quando suo marito è morto nel 1999, accetta di parlare di tutto.

Partiamo dalle origini "Mio padre è milanese da generazioni, mia madre invece arrivava da Cremona". E la Brianza? "Durante la guerra i miei genitori sfollarono da Milano a Lentate, dove ho vissuto sino all’età di 8 anni. Per una bambina, è stata una fortuna: avevo a disposizione la libertà, gli spazi, la natura. Sin da piccola sono sempre stata molto autonoma e disinvolta, a sei anni andavo da sola sui mezzi fino a Milano. E in Brianza, finché c’è stata mia madre ho sempre tenuto quella dimora, ci venivo anche con Fabrizio: si chiamava Cortile del Valentino, ed allora era un casale con grandi balconate che si affacciava su un giardino meraviglioso". Cosa facevano i suoi genitori? "Mio padre era un operaio specializzato, si occupava di strumenti di precisione, voltmetri, amperometri... Anche mia madre lavorava di precisione, pur se in tutt’altro campo: faceva la miniatrice, ritoccava le fotografie. Un’antesignana del photoshop". Origini umili, dunque. Come è diventata una musicista? "Non musicista, solo una cantante... e per giunta per caso. Mio zio abitava con noi a Lentate e suonava la chitarra. E io inevitabilmente cantavo, finché...". Finché? "Un giorno mi iscrisse a un concorso canoro a Lentate. Padrino della manifestazione era Johnny Dorelli, anche lui brianzolo, nato a Meda. Il vincitore avrebbe fatto di diritto un provino radiofonico. E io vinsi: era il 1966 e avevo solo 20 anni". Sogni? "Ero aperta a ogni possibilità ma ero come in attesa: avrei voluto diventare un’estetista... mi piacevano l’estetica e il bello, studiare un volto ed esaltarlo". Però sfondò nella musica... "Tramite un’amica conobbi l’autore Alberto Testa, che si propose come mio produttore per l’etichetta Durium e subito andai a Roma al Festival delle Rose arrivando seconda con la versione italiana del brano Vivere per vivere di Francis Lai, colonna sonora dell’omonimo film di Lelouch. A quell’edizione parteciparono artisti del calibro di Albano (che vinse), Lucio Dalla, Califano...". L’esplosione arrivò nel 1969 con la canzone Casatschok. "E dire che non ne ero convinta, non la sentivo nel mio mood. Ma, in fondo, non avendo niente da perdere, l’accettai e si trasformò nel mio primo grande successo. Dandomi una certa popolarità ma anche, come prevedevo, un’errata connotazione". La consacrazione, negli anni ’70, arrivò con il duo con Wess, con cui formò una delle coppie più di successo in quell’epoca. "Fu un periodo molto bello, incidemmo cinque album e musicalmente ebbi le maggiori soddisfazioni". Come non ricordare brani come Un corpo e un’anima? "(sorride) Fu il periodo dei maggiori risultati della mia carriera e sicuramente quello che mi ha emozionato di più. E per il pubblico sono diventata, più che una semplice cantante, quasi una di famiglia". Cos’è la musica per lei? "Un fattore indispensabile perché migliora la vita e... le intenzioni. È una delle ragioni per cui vale la pena vivere". C’è una canzone a cui si sente più legata? "Non ho dubbi: Io che non vivo di Pino Donaggio, il brano con cui vinsi il mio primo concorso a Lentate: mi ha portato e mi porta sempre fortuna quando per caso la ascolto". A un certo punto nella sua vita irrompe Fabrizio De André. "Mi sono detta tante volte che forse, se ho fatto la cantante, è perché un giorno avrei dovuto incontrarlo". Racconti. "Ci siamo visti la prima volta nel 1969 al Lido di Genova in occasione della consegna del Premio La Caravella d’Oro, che Fabrizio vinse per Tutti morimmo a stento e io per Casatschok. Insomma, due generi agli antipodi, ma fra noi c’era già molta curiosità reciproca". E poi? "Capodanno 1973/74: quella sera lavoravo al Lido di Genova e con me c’era Cristiano Malgioglio. Finito il concerto, mentre salivo le scale per tornare alla macchina, trovai per terra 50 lire calpestate e mi dissi “com’è possibile, proprio a Genova?”. E così le presi e le tenni come un talismano. Fu proprio durante quella camminata che Malgioglio, indicandomi una casa, mi disse: “Guarda Dori, è lì che abita il mio amico Fabrizio De André”. E? "Dopo due mesi ci siamo rincontrati al bar di uno studio di registrazione dove stava incidendo il suo album Canzoni. Mi invitò nel suo studio e mi fece ascoltare Valzer per un amore. Ci scambiammo i numeri di telefono con le solite convenevoli promesse, e invece il giorno dopo mi chiamò davvero. E tutto cominciò. Scoprimmo che lui era più giocoso di quanto sembrasse, e io ero più riflessiva di quanto si potesse immaginare. Ci siamo trovati e non ci siamo più lasciati per 25 anni". La sera del 27 agosto ’79 foste sequestrati in Sardegna. Esperienza tragica... "La definisco piuttosto un’esperienza di vita, che mi ha insegnato tanto, a cominciare dal godere delle cose belle". Si dice che Fabrizio attraversò momenti di sconforto in quei quattro mesi, e che lei invece reagì in maniera più energica. "Ci salvò il nostro istinto di sopravvivenza. E forse sì, fui più energica, e i nostri sequestratori ammirarono la mia determinazione, il fatto che non mi lasciassi sottomettere. Cosa che forse non avrebbero accettato da un uomo". Foste liberati separatamente (dietro pagamento di un riscatto) il 21 e il 22 dicembre di quell’anno: prima lei, poi Fabrizio. "La mia libertà non aveva senso senza la certezza che avrei rivisto Fabrizio. Il sequestro avrebbe potuto dividerci, invece ci unì come un sigillo". Crede in Dio? "Con la religione ho un rapporto non bigotto, e più che in Dio, credo nelle persone. Non vado a messa, ma a volte sento il bisogno di entrare in una chiesa. A volte ci chiediamo se Dio esiste, e sono arrivata alla conclusione che certamente esiste il Diavolo... anche se questo è forse la prova che esiste anche un Dio". Dopo il sequestro, è tornata a cantare. E nel 1983 ha avuto anche successo al Festival con Margherita non lo sa. Le piaceva Sanremo? "Ne ho fatti sette, uno dei quali da ospite, ma... (sorride)". Ma? "Li ricordo come un’esperienza sofferta. Benché facessi la cantante non mi sentivo un’esibizionista. Adoravo stare in studio di registrazione, ma non sul palco". Qual è la canzone che preferisce di suo marito? "Amore che vieni, amore che vai. Non è la migliore ma ha una freschezza malinconica, una vibrazione particolare che mi ha sempre toccato le viscere e noto con piacere che anche oggi ci sono tanti giovani che la interpretano". La felicità per Dori Ghezzi? "La felicità per me... è quella degli altri. Soprattutto, non sopporto vedere la disperazione e la necessità, mi umilia". Il mondo è peggiorato? "Sì". Cosa le fa rabbia? "Vedere quelli che hanno tanto e non gli basta mai...". Curiosità: alcune biografie non ufficiali dicono che il nome Dori è un diminutivo di Doriana. Vero? "Per nulla, il mio nome è proprio Dori! Fu suggerito a mia madre da una parente che viveva in Argentina, e andò cosi... che mia madre, neanche a farlo apposta, finì col darmi un nome forse fin troppo da palcoscenico". Si favoleggia che, ancora ragazza, ebbe una relazione con Gianni Rivera, campione del Milan... "Eravamo solo molto amici, e ho sempre avuto molta stina e affetto per lui. All’epoca mi è anche capitato alcune volte di andare a Milanello, e una volta il Paròn (l’allenatore Nereo Rocco, ndr) disse, ironizzando, a Padre Eligio, consigliere spirituale della squadra: “a Milanello porta più spiritualità Dori di quanta ne porta lei!”. Oggi è nonna... "Ed essere nonni è fantastico, anche sul filo di lana. Mio nipotino Demetrio promette grandi cose e Luvi è una bravissima mamma". E la fiction su suo marito di cui di parla da anni? "Non ho fretta... ma credo che ne faremo un film".