DARIO CRIPPA
Cronaca

Due lettere anonime a un industriale in Brianza, quando una ragazzina provò a ricattare il più ricco del paese

La vicenda gettò la provincia nel panico. Lo sconcerto quando si scoprì che l’autrice era solo una tredicenne. Voleva quaranta milioni di vecchie lire con cui aiutare la sua famiglia

Il luogo in cui lasciare il “riscatto“ era stato individuato in una chiesa

Il luogo in cui lasciare il “riscatto“ era stato individuato in una chiesa

"L’idea mi è venuta leggendo “Il Monello”. Ho letto una storia di ricatti e ho voluto provarci anch’io". Chissà quanti ricorderanno quella rivista a fumetti che andava per la maggiore fra i ragazzini tanto tempo fa. E che venne pubblicata per cinquant’anni sin dagli anni Trenta, adattandosi ai cambiamenti d’epoca. Quello che però non era immaginabile, almeno mezzo secolo fa, quando è ambientato questo fatto di cronaca, è che a farsi suggestionare da quella apparentemente innocente lettura potesse essere una ragazzina di soli 13 anni.

Ci troviamo nel cuore della Brianza. In un piccolo paese di cui oggi non è il caso di fare il nome, in modo da non rendere rintracciabili i protagonisti di una vicenda sepolta nei meandri della storia. Possiamo solo dire che nel paesino in questione risiedevano all’epoca poco più di diecimila persone e una sua giovanissima abitante si fece prendere dall’insana idea di mettere in pratica quanto aveva letto in una storia a fumetti evidentemente molto avvincente.

E tentò di fare un’estorsione anche lei, chiedendo la bellezza di quaranta milioni di lire a un industriale della zona. Figlia di onesti lavoratori – ricordano le cronache del tempo – la ragazzina aveva appreso la meccanica dell’estorsione, come si diceva, leggendo un giornalino a fumetti. Quello che le cronache dell’epoca con un po’ di ritrosia non riportano è però che a casa sua la piccola non se la passava tanto bene. Le bocche da sfamare erano tante, il lavoro di papà non bastava, la mamma si barcamenava tra la gestione dei figli e qualche servizio a ore nelle casse dei più ricchi.

Quando poi ci si era messo qualche guaio di salute le cose erano precipitate. E allora la giovane aveva pensato di risolvere i loro problemi a spese di un industrialotto della zona per cui lavoravano anche i suoi genitori e per il quale si nutriva anche un misto fra rancore e invidia.

Fu così che approssimandosi il Natale, per sistemare i guai di mamma e papà, la giovane aveva inviato una lettera minatoria a quell’industriale di una certa età e dal cuore di pietra, almeno stando ad ascoltare i racconti dei “grandi“. Sapeva che era abbastanza facoltoso da pagare un riscatto, dato che era il proprietario di una piccola azienda manifatturiera da cui per anni si erano serviti come clienti anche parecchi abitanti dei dintorni. La richiesta iniziale non le era sembrata troppo pretenziosa, venticinque milioni, ma non aveva avuto seguito: i carabinieri, avvertiti della faccenda, non erano riusciti a cavare un ragno dal buco, convincendosi che quella lettera minatoria fosse soltanto uno scherzo. Trascorsi diversi mesi, però, a maggio, la ragazzina era tornata alla carica rispolverando il vecchio piano e aveva inviato una seconda lettera all’industriale, solo che questa volta la somma richiesta era salita a quaranta milioni di lire.

La vittima, secondo le indicazioni contenute nella missiva, avrebbe dovuto avvolgere il denaro in un foglio di giornale e avrebbe dovuto depositare il pacco in un paese vicino, dietro l’altare di una chiesetta dei dintorni. E l’industriale, di concerto con i carabinieri, aveva ubbidito. Anche se al posto delle banconote aveva messo della carta straccia. La sorpresa era stata sconcertante quando i carabinieri, che tenevano d’occhio l’afflusso dei fedeli, avevano notato una ragazzina entrare in chiesa, afferrare il pacco e quindi uscire tenendolo sotto il braccio. Immediatamente bloccata, un militare le aveva chiesto: "Dove vai con quella busta?".

E la ragazzina aveva risposto simulando una tranquillità che in realtà non albergava affatto nel proprio cuore che batteva ormai all’impazzata: "Niente, ho trovato per caso questo pacco e l’ho raccolto...". Ma le bugie, recita il detto, hanno le gambe corte. Specialmente quando a raccontarle sono dei bambini. E infatti la ragazzina, messa alle strette, aveva confessato la verità. E aveva appreso una lezione, che "il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare". Anche se alla fine, data la giovanissima età, se l’era cavata con una ramanzina. E con la chiamata in caserma dei suoi genitori.

Cronaca minuta di una certa povertà, cronaca di paese. Sempre negli stessi giorni a processo si ritrovarono uno zio e il nipote, colti sul fatto a rubare dei salami in una macelleria di Vimercate. Condannati rispettivamente a nove e sei mesi, entrambi i se l’erano cavata con la libertà condizionale, dato che a spingerli al crimine era stata soprattutto la fame. Anche se oltre ai salumi, già che c’erano, avevano allungato le mani anche sul contenuto del registratore di cassa. E sempre per fame, per una gallina, due famiglie erano finite un paio di anni prima in ospedale: il caso emerge dalla cronache della Pretura, dove entrambe si ritrovarono a giudizio nel 1976. La faccenda era cominciata in realtà il 17 dicembre del 1974, quando era esplosa una lite fra due famiglie che abitavano in una cascina di Biassono. Una donna si era recata infatti nel pollaio, evidentemente comune, per prendere una gallina a cui tirare il collo.

La seconda famiglia che si serviva del medesimo pollaio però non l’aveva presa bene, sostenendo che la gallina non fosse di sua proprietà. Ne era scaturita una lite furibonda con le due madre di famiglia ad alzare di più la voce, a cui si erano aggiunti a quel punto anche i rispettivi mariti. Dalle parole si era passati presto ai fatti, con i due uomini che erano stati alla fine costretti a ricorrere alle cure dell’ospedale, da cui uno dei contendenti era uscito con una prognosi addirittura di una sessantina di giorni. Cronache di paese. Cronache di mezzo secolo fa. Quando nelle campagne nell’opulenta Brianza si poteva venire alle mani per una gallina. Per un salame. O per un industriale dal cuore di pietra.