
Felicita Giudici
Meda (Monza e Brianza), 2 febbraio 2020 - Felicita Giudici, questo è il suo nome, nasce a Meda il 16 febbraio 1927 in Curt Lunga, ora ridotta ad un rudere, in via Vittorio Emanuele diventato poi Corso Matteotti. È una delle ultime grandi impagliatrici di Meda. La sua famiglia è conosciuta con il soprannome di “Farinei”, mentre l’altra famiglia Giudici è soprannominata “Veducc”. Il nonno paterno di Felicita, padre di 12 figli, era originario di Mariano Comense e aveva una carnagione dal colorito chiaro, quasi bianco come la farina, e da ciò trassero il soprannome Farinei, mentre gli altri arrivavano da Veduggio..«L’arte di incannare e impagliare sedie-spiega nonna Felicita - l’ho appresa in casa, dove, come in quasi tutte le famiglie medesi, le donne aiutavano la povera economia domestica con questi lavori che permettevano di accudire contemporaneamente ai figli, ai nonni, agli animali del cortile e alle faccende domestiche". Ma conseguì la sua specializzazione grazie a sua zia Maria, sorella del papà, che dopo un breve periodo presso le Suore Orsoline di Milano, fu rinviata alla casa natale a causa di una malattia agli occhi (per la cronaca: la zia Maria visse fino a 88 anni senza alcun bisogno di occhiali).
Le conseguenze della grande depressione del 1929 si fecero sentire anche a Meda e così, dopo aver frequentato le elementari, Felicita si occupò dei fratelli minori, anche perché le scuole superiori erano a Seregno e suo papà non le permise di prendere il tram. "A quei tempi con zia Maria -continua l’impagliatrice Felicità -lavoravamo anche 10-12 ore al giorno per ul sciur Raineri e la Maria del Pumatè e dopo la chiusura del Bartulott e l’interruzione dei rapporti commerciali con la Francia a causa della seconda guerra mondiale, abbiamo iniziato a insegnare l’arte anche ad altre donne, aprendo una piccola bottega-5 metri per 6 - tutta al femminile. Producevamo di tutto: sedie, panche e anche poltrone impagliate per i convalescenziario; la materia prima arrivava in balle con un vagone ferroviario da Pozzolengo. La preparazione era molto lunga, laboriosa e difficile: la fascina era alta un metro però lo scarto, che poi si bruciava nei campi, era pari ai 2/3".
Ormai erano cresciute anche come artigiane imprenditrici e lavoravano la canna perfino per divani a tre posti e per tutte le aziende di Meda e Cabiate, anche se le ditte "i prezzi li decidevano loro", perché avevano "mani d’oro". Nel 1962 si trasferì in via delle Colline e continuò il suo piccolo laboratorio. Con un poco di commozione ci ricorda i nomi di alcune tra le tante donne che lì impararono questo mestiere: Anna e Pinuccia Benzoni, Anna Mascheroni Nava, Agnese Tagliabue Fargheta, Angelina Vago, Rina Belott, Anna Casel. Ci racconta anche della Tilde Galimberti che, rimasta vedova con due bambini piccoli, riuscì a mantenere la sua famiglia proprio grazie a questo lavoro che le permise di lavorare in casa accudendo anche ai figli.
Poi, anche nell’arredamento cambiarono le mode, e i loro capolavori finirono nelle poche aziende che producevano e producono tuttora, lavori impagliati: la ditta Cazzaniga di via Solferino, proprio di fronte alla casa dove nacque Giuseppe Terragni e la ditta Cugini Lanzani alla Stazione. Proprio grazie alla passione del signor Lanzani poté andare anche alla scuola media Anna Frank a mostrare questi piccoli capolavori di pazienza e esperienza agli studenti e fra questi uno splendido lavoro denominato "“girasole” dove si vedono ben 12 giri di canna intrecciata in tondo, unico nel suo genere. Ma Felicità non è stata solo maestra di canne e paglia, è stata anche consigliere comunale per la Dc dal 1970 al ’75 con la giunta del sindaco Fabrizio Malgrati. Lei era appartenente alla corrente degasperiana e si era già occupata di alcune questioni sociali nell’allora Eca. l’Ente Comunale di Assistenza. Felicita non se la sente di incoraggiare i giovani in questa esperienza lavorativa: "troppo impegno e troppa poca resa, ma certamente spero davvero che nulla vada perso"; e noi, raccontando questa bella storia di donna medese, speriamo di poter contribuire allo scopo".