
Bambino
Monza, 20 ottobre 2021 - La Russia non ha violato il diritto di un padre italiano negandogli il ritorno in Italia del figlio nato dal matrimonio con una cittadina russa. Perché all’epoca dei fatti, risalenti al 2015, la Convenzione dell’Aja del 1996, che regola la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale, non era ancora in vigore in Italia ed è diventata legge a oltre dieci anni dalla firma. È quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti umani rispondendo al ricorso presentato da un brianzolo, secondo cui le autorità russe hanno violato i suoi diritti perché non l’hanno assistito nel far valere una sentenza emessa dal tribunale di Monza che stabiliva che l’affido del figlio andava al padre.
Secondo i giudici di Strasburgo le procedure seguite dai tribunali russi per determinare l’affido del figlio, dato alla madre, sono state eque e le ragioni di questa scelta sono sufficienti e rilevanti, mentre l’argomento sollevato dal padre del bambino non può essere preso in considerazione perché la Convenzione dell’Aja sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, adottata a L’Aja il 19 ottobre 1996 ed entrata in vigore sul piano internazionale il 1° gennaio 2002, è stata eseguita in Italia con legge 18 giugno 2015, n. 101, a oltre dieci anni dalla firma e solo successivamente entrata in vigore. Quindi nella sentenza i giudici di Strasburgo si sono limitati a valutare se i tribunali russi hanno bilanciato adeguatamente gli interessi del minore e quelli dei genitori. La Corte europea dei diritti umani ha quindi ritenuto che il bilanciamento degli interessi è stato corretto e che il procedimento è stato equo perché il padre ha potuto presentare le sue ragioni e ha avuto accesso a tutti i documenti.