
di Stefania Totaro
Già dai 12 anni ai giardinetti a farsi le canne, invece di frequentare l’oratorio o rincorrere un pallone da calcio. Con il rischio di arrivare a consumare droghe pesanti nel giro di pochi anni e di trasformarsi a loro volta in spacciatori che cercano clienti tra i ragazzini, passandosi il testimone all’infinito in un circolo vizioso difficile da spezzare.
Per i due baby killer di 14 e 15 anni che domenica hanno ucciso a coltellate il loro pusher, Cristian Sebastiano, è successo così. E secondo loro era successo così anche a quello spacciatore di droga che loro odiavano e volevano punire per averli ‘iniziati’ così giovani alla cocaina.
Il dramma è emerso ieri agli interrogatori per le udienze di convalida dei fermi dei due giovanissimi indagati di omicidio volontario premeditato e rapina che si sono tenute al Tribunale per i minorenni di Milano.
E ne sarebbe conferma il fatto che il 14enne, insieme al fratello di 24 anni (a cui ieri la gip del Tribunale di Monza Cristina Di Censo ha convalidato il fermo in carcere), è accusato anche di detenzione a scopo di spaccio di sostanze stupefacenti per 600 grammi tra marijuana e hascisc che i carabinieri hanno trovato nell’abitazione dove vivevano con i genitori, due emigrati africani arrivati in Italia alla ricerca di un futuro migliore e che lavorano entrambi tutto il giorno per permettere ai figli nati qui di vivere come gli italiani.
Lo scenario di questa vicenda sono le case popolari del quartiere San Rocco alla periferia di Monza. Ma non è così assurdo pensare che possa accadere anche ad altri ragazzini, anche se hanno avuto la fortuna di nascere e crescere in zone più felici della città.
Ora per i due baby killer si aprirà un percorso tutto in salita: il processo con la pesante accusa di omicidio volontario premeditato e rapina (per il 14enne anche quella relativa alla droga) davanti al Tribunale per i minorenni di Milano, la presa in carico da parte dei servizi sociali (anche se il 14enne già frequentava il Sert di Monza per disintossicarsi), la scelta di una comunità o altra struttura per lasciarsi il tunnel della dipendenza alle spalle.
A loro sfavore va anche il fatto che attualmente non si possono scegliere riti alternativi, che consentono uno ‘sconto’ sulla pena in caso di condanna, per l’accusa di omicidio volontario. La loro vicenda apre poi una, a dir poco amara, riflessione sull’assunzione di droga da parte di ragazzini già da quando frequentano la scuola media inferiore e sul fatto che probabilmente ancora non esiste una vera e forte presa di coscienza di famiglie, scuola ed enti che si occupano di minorenni sulla gravità di questo fenomeno.