Monza, 4 giugno 2024 – “Eccomi, sono qua. Giacomo. Mi presento". Il sogno di Giacomo inizia così. I primi versi del pezzo scritto con il contributo artistico di Achille Lauro che "racconta chi sono. Un ragazzo un po’ lunatico, testardo, ma simpatico". Un ragazzo "con un sogno e due soldi. Mi basta questo, non serve di più".
Perché adesso che il peggio della malattia se l’è lasciato alle spalle, Giacomo Penno, anni 18 da Gassino Torinese, "ho capito che voglio vivere giorno per giorno. Il domani, per me, è già troppo lontano. È questo ‘Il mio morale’ ". Che poi è pure il titolo della canzone pop rock che da venerdì sarà su tutte le piattaforme musicali, Spotify, YouTube, Amazon e Apple Music. E pensare che "la musica era il mio piano B". È stata la malattia a fargli cambiare prospettiva.
La scoperta della malattia
Fino all’età di 11 anni Giacomo pensava a tutt’altro. In testa aveva altri progetti: "Non ho mai avuto un problema, giocavo a calcio e quello avrei voluto continuare a fare con i miei amici". Poi, però, è arrivata la diagnosi. Spietata: morbo di Addison, una malattia rara che attacca il sistema immunitario.
“L’ho scoperto tramite mio cugino, che aveva sempre la febbre. I medici hanno fatto i test a tappeto su tutta la famiglia e da quel momento è iniziata la mia odissea – racconta Giacomo – La prima reazione è stata quasi senza emozione. Sono stato di ghiaccio. Ma quando la situazione è peggiorata, allora sì che mi sono arrabbiato. Perché a me? Cosa ho mai fatto di male per meritarmi tutto questo?".
All’inizio pensava che quella malattia sarebbe stata passeggera e che "dopo la cura sarei tornato a giocare a calcio. Invece dopo poco ho capito che dovevo pensare solo a vivere. Il calcio resta una passione da seguire solo come tifoso. Del Torino".
L’accoglienza in Brianza
L’unica soluzione di salvezza era il trapianto di midollo osseo. Accolto al Centro Maria Letizia Verga di Monza, ha percorso quella strada con coraggio. "Poi, però, ho avuto un rigetto che mi ha preso i muscoli e ancora adesso sono bloccato su una sedia a rotelle".
Ma Giacomo non ha fatto una piega: "All’inizio il Comitato era solo un ospedale, ora per me è diventato la mia seconda famiglia. Il mio padrino di Cresima è un terapista del Centro".
L’incontro con Achille
Ed è lì, al Centro Verga, che ha conosciuto Achille Lauro. Due anni. "Vedendolo ho capito che aveva una vera passione per la musica – confessa Lauro –, ma soprattutto fame e voglia di farcela. Così ho iniziato a consigliarlo e aiutarlo nel suo percorso di crescita musicale, arrivando fino ad oggi, al lancio di questa canzone, che non solo è di grande qualità, ma che rappresenta un traguardo importantissimo per un ragazzo della sua età. Sono veramente contento di essergli stato vicino, sia per il suo passato sia per quello che rappresenta oggi: un giovane che sogna in grande".
In effetti Achille Lauro "è stato di parola. Si era avvicinato e mi aveva detto ‘guarda che non ti mollo’ – ricostruisce l’incontro Giacomo –. Ho pensato che fossero le solite frasi di circostanza e invece dopo qualche settimana mi ha scritto su WhatsApp. Da allora è nata una fratellanza, quando mi sento giù gli scrivo e lui ha sempre le parole giuste".
Le dediche
A cominciare da quelle che l’hanno spinto a scrivere il suo primo pezzo. Che, in fondo, è "una dedica a tutte le persone che mi hanno permesso di arrivare fino a qui". A mamma Elena e papà Andrea che "hanno preso un monolocale in affitto a Monza per potermi stare vicino durante le terapie", alla "mia sorellina Beatrice che per lunghi mesi ha vissuto con nonni e zii", ai medici, agli infermieri, al musicoterapista del Centro Saimon Fedeli e anche a suo cugino e ai suoi amici con cui "abbiamo una band - i Purple Haze in omaggio a Jimi Hendrix - e ho iniziato a buttar giù, su un quadernetto i pensieri del mio morale".