BARBARA CALDEROLA
Cronaca

Gilera, la leggenda sale sul palco: “Il lavoro? Un divertimento”. Tutti i volti di un marchio mitico

Al Nuovo l’intera storia, dall’epoca pionieristica all’inizio del Novecento, fino ai grandi successi motoristici. Protagonisti i grandi e piccoli personaggi, dal commendatore all’apprendista diventato direttore vendite

Gilera, la leggenda sale sul palco: "Il lavoro? Un divertimento". Tutti i volti di un marchio mitico

Da apprendista impiegato a direttore delle vendite, la storia di Gianni Corbetta proietta il pubblico nell’epopea Gilera, un sogno diventato avventura sportiva e imprenditoriale di successo che a più di un secolo dalla fondazione non ha perso fascino.

La grande fabbrica delle moto chiusa nel 1993 è stata un ascensore sociale per tanti brianzoli e i racconti degli ex dipendenti al Nuovo di Arcore, che ne hanno ripercorso le fasi salienti, sono un viaggio nel Novecento italiano. Venerdì sera, pienone in platea per l’appuntamento organizzato dal Registro Storico Gilera con il Gilera Club Arcore, sul palco sfilano i protagonisti della leggenda. Primo fra tutti l’erede della dinastia, Massimo Lucchini Gilera, nipote del mitico Giuseppe, il fondatore, che trapiantò in città l’officina nata a Milano a inizio secolo. Ma è il nonno scomparso nel 1971 con voce originale da una vecchia intervista che per primo ricorda la parabola.

Un colpo di teatro che fa alzare subito la gradazione emotiva in sala: "Il lavoro? Un gran divertimento", diceva il Commendatore. Dai modelli nati a cavallo fra le due guerre, alla ripresa alla fine del secondo conflitto, dalle competizioni fuoristrada alle gare su circuito, dalle vittorie in casa e all’estero, ai 32 primati mondiali di velocità ottenuti sulla pista di Monza nel 1957, al ritiro dalle corse, dallo stabilimento in via Cesare Battisti a quello di Carlos Spegazzini in Argentina, fino alla scomparsa di Ferruccio, nel 1956 in Sud America, era lui che avrebbe dovuto mandare avanti l’azienda.

Un viaggio lungo, pieno di curve, fino all’ultimo capitolo del passaggio in Piaggio. In pista c’era lui, Roberto Mandelli, pilota ufficiale della casa dal 1989 al 1993.

"Che tempi – ricorda – quelli in sella alla Rc 600 alla mia seconda Parigi-Dakar". Nel mezzo, la lunga cavalcata cominciata con la prima moto, la VT 317, affidata ai ricordi di Amanda Vazquez Penati, Angelo Molteni, Camillo Mignanego, Dino Mercatelli, Paolo Magri, Romolo Ciancamerla, Roberto Mandelli e Nazzareno Falappi. Familiari ed ex dipendenti, ciascuno con un aneddoto inedito, scampoli di una vicenda che "non smette di far battere il cuore" - su questo sono tutti d’accordo, cominciando dai tifosi - e che ha inchiodato gli appassionati alla poltrona.