Mandante e istigatore dell’omicidio commesso dai due baby killer per droga e soldi, ma non vi è prova certa che sia stato anche l’autore della telefonata alla vittima da una cabina telefonica il giorno del delitto per prendere l’appuntamento-trappola per la consegna della cocaina. Per questo motivo la Corte di Assise di Monza ha deciso di condannare a 30 anni di reclusione per concorso morale, e non materiale, in omicidio volontario e rapina aggravata Giovanni Gambino, 43enne tossicodipentente monzese, vicino di casa e amico del 42enne Cristian Sebastiano, ucciso il 29 novembre 2020 con una trentina di coltellate da un 14enne e un 15enne, anche loro consumatori abituali di droga, sotto i portici dei palazzi popolari del quartiere San Rocco. Ammazzato e rapinato di 5 grammi di cocaina e mille euro di pensione di invalidità che sapevano avrebbe avuto in tasca per pagare alcuni debiti.
Gambino, in carcere da 2 anni per questa vicenda, ha sempre negato l’accusa e lo scagionano pure i due baby killer, che fin da subito hanno invece confessato di essere gli autori dell’omicidio. La pm della Procura di Monza Sara Mantovani aveva chiesto la condanna all’ergastolo per Gambino, mentre ne aveva chiesto l’assoluzione il difensore, l’avvocato Stefano Gerunda, che ha già annunciato che presenterà ricorso in appello contro la condanna, ritenendo che l’omicidio giri tutto intorno al 14enne, che da tempo andava in giro a dire che voleva ammazzare Cristian Sebastiano perché lo aveva iniziato al consumo di stupefacenti e addirittura una volta gli aveva venduto cocaina tagliata male, ma con cui aveva anche debiti di droga.
“Le esternazioni del 14enne sono state messe in atto dopo l’incontro a casa di Gambino neppure due ore prima dell’omicidio – sostengono i giudici nella motivazione della sentenza –. Se anche il 14enne si fosse risolto ad uccidere e rapinare la vittima per propri personali rancori o obiettivi di altro genere, ciò non toglie che ad imprimere l’accelerazione decisiva ai propositi fino ad allora solo ventilati sia stato proprio il contributo dell’imputato, essenziale nella rivelazione di informazioni sul possesso di droga e denaro della vittima". D’altronde, continuano i giudici, Gambino "aveva più di una ragione per desiderare la morte di Cristian, con cui i rapporti si erano ultimamenti raffreddati a causa di liti all’interno della famiglia dell’imputato e anche debiti per la cessione di droga".
Diverse le considerazioni in relazione alla contestazione di concorso materiale per l’indizio della telefonata dalla cabina telefonica. "Si parta dalla circostanza che l’idea di utilizzare una cabina telefonica non si è spontaneamente affacciata alla mente del 14enne, ma ha implicato l’impulso, il suggerimento di un adulto avvezzo all’utilizzo di simili apparecchi – sostengono i giudici –. Oggettiva è poi l’incongruenza, sul punto, nel racconto del 14enne, che al processo ha sbagliato nell’indicazione della cabina telefonica che ha sostenuto di avere usato per fare la chiamata alla vittima. Tuttavia questi indizi non hanno il carattere di gravità e precisione indispensabili per giungere all’affermazione di un concorso materiale".