
Le mani delle cosche si allungavano da tempo anche su locali notturni e discoteche.
O meglio, sul loro servizio di sicurezza, i cosiddetti “buttafuori”, con autentiche logiche da spartizione territoriale.
"Sì, sì, sono le nostre zone" dice ad esempio in un’intercettazione Daniele Scolari, da Misinto, che gestisce un gruppo di buttafuori presso le discoteche Polaris di Verano Brianza e Modà di Erba. Scolari "non è infatti un mero buttafuori - scrive il gip Raffaella Mascarino - bensì un imprenditore, sia pure privo dei requisiti formali necessari, perfetto conoscitore delle logiche e degli equilibri criminali del settore in cui opera".
I "servizi di sicurezza - si legge ancora - sono gestiti, controllati e divisi da appartenenti alla criminalità organizzata di stampo ‘ndranghetista secondo le tipiche logiche spartitorie, territoriali e gerarchiche, di quelle organizzazioni". Gli imprenditori che gestiscono le discoteche nelle zone interessate "non possono scegliere autonomamente il servizio di sicurezza ma devono attenersi a quelli che sono gli equilibri già consolidati del settore, o meglio, anche qualora dovessero scegliere liberamente una specifica agenzia specializzata nel settore, quest’ultima si atterrà alle consolidate ‘regole non scritte’ di spartizione delle attività secondo le tipiche logiche mafiose, ‘subappaltando’, anche occultamente, il relativo servizio".
C’è ad esempio il caso della discoteca “La Capannina” che, all’epoca dei fatti, aveva sede in via Boccaccio a Giussano, in cui la sicurezza era gestita da una società della famiglia De Luca, già aderente alla cosca Stagno di Seregno. Dai servizi di sicurezza si arrivava però poi spesso a cannibalizzare l’intero locale. Come alla Capannina: messa in liquidazione, chiusa e poi riaperto col nome di “Zero”, e amministrata da soggetti riconducibili, secondo l’accusa, a Luca Vacca, considerato uomo di riferimento per gli ‘ndranghetisti.
Da.Cr.