di Stefania Totaro
Tre condanne fino a 4 anni e 10 mesi di reclusione con il rito abbreviato e 5 patteggiamenti con pene da 4 anni e 4 mesi a 2 anni per il presunto traffico di fatture false con autoriciclaggio da 57 milioni di euro verso compiacenti società estere, tra cui per la prima volta appare anche la Cina.
È la sentenza decisa ieri dal giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Monza Marco Formentin per l’inchiesta, coordinata dai pm della Procura di Monza Salvatore Bellomo e Sara Mantovani, denominata “Ironfamily” dal coinvolgimento della famiglia Ricco, rottamai da generazioni a Desio, con l’arresto di quattro fratelli. Un paio sono ancora agli arresti domiciliari e tutti sono stati condannati oppure hanno concordato le pene con la pubblica accusa. Le accuse contestate sono a vario titolo associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio. L’inchiesta della guardia di finanza di Seregno è partita dopo un controllo effettuato in un’azienda di Desio, segnalata per operazioni anomale. Un’indagine che ha portato alla luce l’inquietante evoluzione di questo sistema di evasione fiscale con la destinazione dei soldi ‘sporchi’ non più nei cosiddetti ‘paradisi fiscali’ in Paesi esotici e neanche la triangolazione con la Svizzera e il Regno Unito. Ma l’ingresso di nuovi Paesi in Europa, come Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Spagna e Ungheria ma soprattutto il coinvolgimento di società della Repubblica Popolare Cinese. Nel caso concreto di questa indagine il sistema fraudolento prevedeva: emissione di fatture false da parte di imprese italiane fittizie, saldate (dai “clienti” utilizzatori delle fatture) con pagamenti a società ‘cartiere’; bonifico degli importi ricevuti a imprese estere e infine prelievi in contanti dai conti esteri e successivo trasporto per il rientro in Italia, mediante corrieri, delle provviste di denaro, al netto della “commissione” per l’illecito servizio di “schermo fiscale” reso, pari al 2% di ciascuna transazione. L’inchiesta vede anche altri 85 indagati. Alcuni di loro, però, nel frattempo, si sono rivolti al Tribunale del Riesame di Monza contro i sequestri patrimoniali, ottenendo indietro dai giudici somme che vanno anche fino a 2 milioni di euro, soldi che andranno restituiti, perché le difese degli indagati hanno provato che non erano false le fatturazioni contestate e che in qualche caso è stata applicata la normativa sull’autoriciclaggio anche per fatti precedenti alla sua entrata in vigore.
Alcuni fatti inoltre si avviano verso la prescrizione perché ormai risalenti nel tempo.