DARIO CRIPPA
Cronaca

Il tour della Corona Ferrea. Voluta da re e imperatori ha girato mezza Europa. Dal Duomo alla Francia

Il gioiello che conterrebbe un chiodo proveniente dalla Croce di Gesù ha attraversato diverse epoche fino a quando i Savoia non la vollero più.

C’è un altare nella Cappella di Teodolinda, all’interno del Duomo di Monza. Al suo interno, è custodita una piccola corona. Tempestata di pietre preziose, ha un nome che da solo basterebbe a raccontare una storia: Corona Ferrea, uno dei simboli densi di significato della storia d’Occidente. Cinta da re e imperatori, ambìta e bramata.

Al suo interno – vuole la leggenda - c’è una reliquia: un cerchio di metallo fatto con uno dei chiodi con cui fu crocifisso Gesù di Nazareth. Per il Cristiani, il figlio di Dio. Sant’Elena avrebbe rinvenuto quel chiodo nel 326 durante un viaggio in Palestina e lo avrebbe fatto forgiare a forma di morso per il cavallo del figlio, l’imperatore Costantino. Quello che vorremmo tentare di fare è raccontare la storia dei suoi viaggi. Perché la Corona Ferrea col suo Chiodo non è sempre stata a Monza, ma il suo peregrinare li ha portato a spasso per mezza Europa: dalla Palestina a Costantinopoli, da Monza a Pavia, Mantova, Milano, Torino, Roma, Vienna, Parigi. Realizzata fra il IV e il V secolo, il primo storico a parlare di incoronazioni con questo gioiello è il gesuita Bartolomeo Zucchi, che nel 1609 ne enumera 34: da Agilulfo, secondo marito della Regina Teodolinda, fino a Federico Barbarossa, fra Monza, Milano e Pavia. Nel 1273, viene consegnata ai frati Umiliati su richiesta del podestà di Milano a garanzia di un mutuo. Nel 1310, al suo arrivo a Milano l’imperatore Enrico VII, non trovandola (è ancora in mano ai frati), per l’incoronazione se ne fa realizzare una copia in argento a forma di alloro. Solo nel 1319 la vera corona torna a Monza, dopo il pagamento di un riscatto. Per vederla incoronare di nuovo un sovrano bisogna attendere fino al 6 gennaio 1355, nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano: il fortunato è Carlo IV di Lussemburgo. Poi ci si sposta a Bologna, dove nel 1530 Carlo V, per non sbagliare, si fa incoronare da un papa, Clemente VII. Come attirata da una calamita la corona torna di nuovo a casa, a Monza, dove – ne parla nel 1602 per la prima volta il solito Bartolomeo Zucchi – comincia a essere venerata come una reliquia e a essere portata in processione in città. Ma alla fine, la Corona Ferrea è una reliquia o no? La Chiesa si pronuncia ufficialmente in proposito soltanto nel 1717, quando papa Clemente IX – con sano pragmatismo – decreta che il culto di una reliquia è permesso "se valido e positivo per la pietà popolare" anche in mancanza dei prove storiche. La Corona torna di nuovo a cingere il capo di un re d’Italia nel 1805. Siamo a Milano, però, e a organizzare tutto è Napoleone, che si incorona da solo pronunciando la celeberrima frase: "Dio me l’ha data, guai a chi la tocca". In mente ha però anche altro: rubarla. "Voi intanto restate a Monza - dice al vicerè Eugenio di Beauhornais - e disponete le cose in modo da poter sempre avere in possesso la Corona Ferrea e portarla via senza che si sappia". Non ci riuscirà. Con la Restaurazione, tornano gli Austriaci, e la corona diventa insegna del Regno Lombardo-Veneto. L’unica incoronazione è quella di Ferdinando I d’Austria, diventato imperatore nel 1835: la corona viene trasferita di nuovo da Monza a Milano per la cerimonia il 6 settembre, ma viene subito restituita all’Arciprete di Monza. I viaggi non sono finiti. Col Risorgimento, ci mette le mani sopra il maresciallo Radetzky, che la porta a Mantova affinché non cada in mano al nemico Carlo Alberto di Savoia. È il 15 marzo 1849, sarà restituita a Monza appena 5 mesi più tardi. Il 22 aprile 1859, gli Austriaci decidono però di portarsi la Corona a Vienna. È ormai questione di tempo. La seconda guerra di Indipendenza porta alla nascita del Regno d’Italia e alla cacciata degli Austriaci. La pace, ratificata nel 1866, decreta (anche) la restituzione della corona. Il generale austriaco Alessandro di Mensdorff la consegna nelle mani al suo omologo italiano, il generale Luigi Federico Menabrea. Che, da buon diplomatico (e ingegnere) pronuncia con certosina precisione queste parole: "Il ritorno fra noi di questa antica e venerata reliquia, segna l’istante solenne e per sempre memorabile in cui la Venezia, spezzate le sue catene, si unisce con voto unanime al regno d’ltalia. La corona di ferro, tanto ambita e contrastata, e che fu testimonio di sì lunghe e terribili lotte, non poteva rimanere fuori del suolo d’Italia". Provvisoriamente sistemata a Torino, il 5 dicembre una delegazione guidata dal generale Paolo Solaroli di Briona la trasferisce alla Villa Reale di Monza. E, il giorno successivo, al Duomo. Ormai la Corona Ferrea non incoronerà più nessuno. I dissidi col Vaticano scoraggiano i Savoia, nuovi padroni d’Italia, dall’imbarcarsi in nuove cerimonie sacre. Sarà però esposta ai funerali dei primi due re d’Italia (Vittorio Emanuele II nel 1878 e Umberto I nel 1900). Anzi, è con grande commozione che viene deposta momentaneamente ai piedi della salma di Umberto I, ucciso proprio a Monza. Nessuno dei Savoia vorrà però rimettere piede a Monza.

Il mondo sta cambiando. Scoppia la Prima guerra mondiale e dopo la disfatta di Caporetto nel 1915 il millenario gioiello viene messo al sicuro a Roma, dove resta sino alla fine della Seconda guerra mondiale. Solo a conflitto finito tornerà a Monza. Almeno fino al 1993, quando viene sottoposta a un’analisi scientifica dall’Università degli studi di Milano. Che segna la fine di una credenza, ma non di un mito. Il presunto “chiodo di ferro” non contiene ferro, ma è al 99 per cento d’argento.

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