
di Marco Galvani
Mark Twain diceva che "non tutti i cavalli sono nati uguali. Alcuni sono nati per vincere".
Come “La pulce d’acqua“: "È la mia cavalla più forte". Alfonso Litta Modignani ne parla con orgoglio. Lui si è tenuto il fratello Siberius. Anche lui ha vinto gare importanti "con la mia giubba, i miei colori". Quelli della Razza Vedano.
"Un altro purosangue ha appena vinto in Inghilterra, un doppio in otto giorni". È chiaro che "diventa più simpatico il cavallo che va più forte, ma ne ho diversi nel cuore". Perché "ogni cavallo che nasce è come un figlio". Litta Modignani è il padre della Razza Vedano. Un allevamento nella proprietà che, dal 1811, appartiene alla sua famiglia. Ma nell’Ottocento le imponenti scuderie – che prima ospitavano una sala da scherma e una limonaia d’inverno – avevano solo poste per cavalli da carrozza. È nel Novecento che vengono realizzati i box come si vedono oggi. Per cavalli da corsa, legati all’ippodromo. Poi anche al servizio dell’allevamento. Negli anni ci sono state diverse razze: la Razza di Vedano del Pio Bruni che "era qui in affitto dai miei nonni", successivamente per il trotto, "fino a quando ho preso in mano io l’allevamento, all’inizio un po’ per gioco e poi più seriamente da una decina d’anni. E ho ricreato la Razza Vedano".
Una scelta coraggiosa. Fatta all’inizio della vera crisi dell’ippica. Cosa l’ha convinta?
"La passione. Sicuramente alimentata dai miei genitori che mi portavano a San Siro a vedere le corse. Da ragazzino avevo un purosangue, ex cavallo da corsa, con cui andavo nel Parco. C’era ancora il vecchio ippodromo abbandonato, ma integro con la pista in sabbia. Lì alcuni piccoli proprietari e allenatori allenavano i propri cavalli. Seguendo loro mi sono appassionato, ho preso la patente da gentleman e ho avuto anche una breve carriera sportiva. Negli anni dell’università, Lettere a Milano e dottorato in Storia dell’arte a Torino, ho iniziato ad allevare cavalli. Anche per la passione per i pedigree, mi affascinavano le genealogie. Senza dimenticare mai la fortuna di avere a disposizione un posto già organizzato con le scuderie che appartiene alla mia famiglia".
Storicamente il Parco è votato al cavallo. Il suo allevamento è, comunque, inserito all’interno di un contesto urbanizzato. È il luogo ideale?
"Beh, che qui la terra vada bene per allevare i cavalli non lo dico io, ma lo dice la storia di questo posto. Qui c’è stato in affitto anche Roberto Arioldi, cavaliere olimpionico. Siamo una piccola oasi vicino a grandi città, Monza e soprattutto Milano, a due passi dall’ippodromo di San Siro. Certo, abbiamo la vicinanza dell’autodromo, ma quando è in funzione è più fastidioso per noi umani che per i cavalli".
Quanti puledri “vedanesi“ nascono?
"Una parte dell’allevamento è qui, ma le cavalle fattrici sono in Irlanda perché là ci sono gli stalloni migliori. Nel purosangue non esiste l’inseminazione artificiale. Per essere competitivila cosa migliore è avere un certo tipo di linea di sangue. Una volta nato, il puledro deve rientrare in Italia entro il 31 dicembre dell’anno di nascita per essere italianizzato e stare qui almeno 8 mesi. Poi può essere esportato nuovamente. Essere considerato italiano significa che se un domani corre in Italia ha diritto a una percentuale del premio più alta, del 60% per i cavalli di 2-3 anni, del 50% per gli over 4. Questo è un incentivo per favorire l’allevamento italiano. Se non ci fosse, i proprietari italiani comprerebbero più facilmente i cavalli stranieri. Con sette fattrici, tra Vedano e l’Irlanda nascono 4-5 puledri all’anno".
Tutti purosangue destinati alle corse?
"Assolutamente sì. Nella speranza che le vincano. Perché se un cavallo vince, tutti i fratelli avranno un mercato superiore. Se venisse un compratore a chiedere un mio cavallo per farlo giocare a polo non glielo venderei mai. Io cerco di allevarli nel migliore modo possibile, dall’alimentazione alla qualità dei prati. Dedicando grande attenzione alla preparazione (atletica e morfologica) delle aste: c’è un solo giorno in Italia, a settembre, in cui si organizzano aste per i cosiddetti yearling (i cavalli di 17-18 mesi). Cavalli non ancora domati, ma soltanto educati. L’anno scorso abbiamo venduto un cavallo addirittura in Giappone, a settembre invece in Inghilterra".
E dopo le corse, qual è il destino dei cavalli?
"Un tempo erano molto utilizzati nella classica equitazione da campagna, ma anche questo è un settore che soffre. Io alcuni cavalli me li sono ripresi".
Il suo sogno?
"Allevare il campione. Noi, di fatto, allevando cavalli alleviamo dei sogni. Ogni cavallo che nasce è frutto di una lunga progettazione. Ora che è autunno sto ragionando i futuri incroci, sto cominciando a fare i contratti con gli stallonieri per gli accoppiamenti nella primavera: i puledri nasceranno nel 2022, saranno venduti alle aste del 2023 e correranno nel 2024 se tutto va bene. Allevare cavalli è un po’ come giocare in Borsa: tu acquisti la monta di uno stallone che non sai se fra due anni sarà competitivo sul mercato. Non va sempre bene. Comunque poi il cerchio si chiude quando i tuoi cavalli vincono le corse".