Il virus è stato rimosso dalla coscienza collettiva, dopo tre anni di restrizioni nessuno vuole più ricordare i guasti della pandemia. Ma la comunità scientifica continua a studiarli e in alcuni casi, dopo aver letto gli esiti delle ricerche, si può tirare un sospiro di sollievo. Perché nessuno nel 2020 e neanche dopo sapeva che implicazioni avrebbe avuto il killer venuto dalla Cina sulla salute di chi l’ha sconfitto. Ora Neuro-Covid Italy, l’indagine sulle complicanze neurologiche del coronavirus, certifica che "i disturbi del sistema nervoso sono stati meno frequenti da un’ondata all’altra". L’indagine ha coinvolto 160 specialisti, 2mila pazienti e 38 unità operative in Italia e nella Repubblica di San Marino, all’apice della bufera. A coordinarlo, Carlo Ferrarese, direttore della Clinica Neurologica di Milano-Bicocca della Fondazione Irccs San Gerardo di Monza. Sotto la lente alcuni dei problemi più critici registrati dopo il contagio. "Sintomi e malattie diverse - spiega il professore -, dall’encefalopatia acuta, cioè un grave stato confusionale con disorientamento e allucinazioni, fino all’ictus, all’emorragia cerebrale, a difficoltà di concentrazione e memoria. Ma anche mal di testa cronico, riduzione dell’olfatto e del gusto, alcune forme di epilessia e di infiammazione dei nervi periferici". Fra i dati più interessanti c’è che "le alterazioni sono diventate meno frequenti a ogni attacco della polmonite - dice il neurologo del San Gerardo Simone Beretta, primo autore dello studio -. Siamo passati dall’8% degli inizi al 3% della terza ondata. La ragione è legata alle varianti, da quella originale di Wuhan fino a Delta, meno pericolosa nel nostro campo. Con Omicron e l’uso dei vaccini la situazione è migliorata e i disturbi neuro-Covid sono diventati molto rari". Un altro aspetto riguarda il recupero nei mesi successivi all’infezione. "In più del 60% dei positivi - rivela Ferrarese - c’è stata una guarigione completa, oppure sono rimasti malesseri lievi, senza impatto sulla vita quotidiana. Questo dato arriva a oltre il 70% nella fascia 18-64 anni. Anche se non bisogna dimenticare che nel 30% dei casi, i più complessi, i disagi sono durati spesso per più di sei mesi dal contagio". Anche per i problemi di concentrazione e di memoria i tempi sono stati lunghi, "tanto da rientrare in quella che è stata chiamata sindrome long-Covid, al centro dell’attenzione di molte strutture coinvolte nella ricerca".
Barbara Calderola