MARCO GALVANI
Cronaca

Lo Stato pensiona il Dottor Sorriso: "Ma resto in reparto con i bambini"

Monza, il medico milanese Momcilo Jankovic ha curato migliaia di piccoli malati di leucemia. E continuerà

Momcilo Jankovic non lascia i suoi bambini nel Day hospital di Ematologia pediatrica dell’ospedale San Gerardo

Milanese con lontane origini serbe, 63 anni, Momcilo Jankovic è per tutti il «Dottor sorriso». Da giovane laureato, nel 1977, è andato subito a lavorare alla Clinica De Marchi insieme a Giuseppe Masera, il padre della lotta alle leucemia infantili. Cinque anni più tardi decise di spostarsi all’ospedale San Gerardo di Monza per fondare quello che oggi è diventato un reparto d’eccellenza a livello mondiale. Nel 2008 è diventato responsabile del Day hospital di Ematologia pediatrica. Una vita spesa al fianco dei bambini nella lotta contro la leucemia. Un impegno per il quale nel 2010 è stato premiato anche con l’Ambrogino d’oro

Monza, 13 settembre 2016 - Per la burocrazia è dovuto andare in pensione. Per lo Stato vale la legge dei numeri, dei guadagni e dei risparmi. Per i «suoi» bambini, invece, lui è e resterà sempre il Dottor Sorriso. Perché «i sogni e il sorriso di un bambino non hanno un prezzo». I «suoi bambini» sono i piccoli malati di leucemia. Sono i pazienti con cui Momcilo Jankovic trascorre le sue giornate nel Day hospital di Ematologia pediatrica dell’ospedale San Gerardo. Lo fa ancora anche se il pubblico l’ha lasciato a casa. «Ho avuto il privilegio di poter proseguire con la Fondazione per il bambino e la sua mamma» che sempre a Monza gestisce il dipartimento materno-infantile e che dentro l’ospedale pubblico ha realizzato, grazie al Comitato Maria Letizia Verga, un centro di eccellenza mondiale nella lotta alle leucemie dei bambini. Anche se «resta l’amarezza per non aver ricevuto alcuna richiesta di collaborazione dalla sanità pubblica». Perché «credo molto nella continuità di una scuola, nell’importanza di stimolare i nuovi medici a un approccio che ha contraddistinto l’attività del reparto: il nostro non è un lavoro ma uno stile di vita». Una missione. Fino a neanche un mese fa Jankovic era il direttore del Day hospital dove «la giornata è una vita intera». Il suo cellulare è acceso 24 ore su 24, tutto l’anno. Anche adesso. «Quando ho scelto di fare medicina l’ho fatto con l’obiettivo di aiutare gli altri, di prendermi cura delle persone e non solo di curare - racconta -. Lavorando con professionalità e non con buonismo perché altrimenti ti fai travolgere dai sentimenti e crolli subito quando ti trovi davanti a un bimbo malato».

E allora è importante «condividere con loro il significato che il nome della malattia porta con sé. È in quel momento che inizia un cammino insieme. Uso terminologia semplice, smitizzo convinzioni diffuse, è importante far capire ai genitori la reale situazione, mentre ai bambini do sempre il 100% di speranza». Perché «i bambini sono nati per vivere e per loro il paradiso può attendere». Oggi le possibilità di guarigione sono molto alte. Ogni anno in Italia vengono diagnosticati 1.400 nuovi casi, nel 75-80% dei casi i bambini guariscono. Ma «per quel 20% che non ce la fa il nostro obiettivo è di garantire il meglio come serenità e qualità della vita». E dalla tasca del camice spunta la sua famosa agendina nera con i numeri di calciatori, cantanti e attori che l’hanno trasformato in una specie di mago dei sogni: «Il cammino terapeutico, in certe patologie, è spesso pesante per i piccoli pazienti e i loro familiari. La mia missione è stata e potrà esserlo ancora di più adesso che sono (quasi) in pensione e ho più tempo, è di regalare momenti di svago e spensieratezza. Sugli spalti di San Siro per le partite di Inter e Milan, in reparto con Eros Ramazzotti, Raul Bova, Eto’o, Kakà, Kekko dei Modà. In passato alcuni bimbi sono anche stati ospiti speciali di George Clooney nella sua villa di Laglio sul lago di Como. Medicina e sorriso. Ma si lotta contro una malattia di cui non si conosce ancora la causa. La risposta la stanno cercando nella genetica ma la sfida è impegnativa. Per questo «vogliamo raccontare la parte positiva di questa guerra, i bambini che oggi sono diventati ragazzi, mamme e papà. Incoraggia i pazienti, le loro famiglie, ma anche i medici e i ricercatori ad andare avanti. Per noi il bicchiere mezzo pieno è quell’80% di guarigioni».