"La vita di Giacomo Puccini a Monza è la base della Bohème". A sostenerlo è un’autentica esperta del grande compositore di Lucca, Rossella Martina, giornalista, scrittrice e già vicesindaca e assessora alla Cultura di Viareggio. Cultrice pucciniana, ha dato da poco alle stampe un’opera dedicata al Genio di Lucca di cui quest’anno si celebrano i 100 anni dalla morte. Il libro si intitola “Giacomo Puccini – Gloria e tormento” (Dreambook edizioni), e un capitolo dà
particolare attenzione proprio al periodo misconosciuto, ma di fondamentale importanza, in cui Puccini visse a Monza. Due anni trascorsi da Puccini, in povertà e in condizioni precarie assieme all’amante Elvira Bonturi.
Anni importanti, precisa Rossella Martina, nei quali "Puccini vide venire alla luce il suo unico figlio Antonio il 23 dicembre del 1886 e decise di farlo battezzare proprio a Monza, alla parrocchia di San Biagio. Ho avuto occasione e per questo ringrazio l’allora parroco di San Biagio don Marco Oneta e il responsabile dell’archivio parrocchiale Fausto Borgonovo, di analizzare il certificato di battesimo".
E cosa ne esce? "Puccini volle riconoscere il figlio nonostante fosse illegittimo, si prese le sue responsabilità. Volle come padrino suo fratello Michele. Mentre nel certificato di battesimo non compare alcun nome per quanto riguarda la madre. Il cui nominativo formalmente avrebbe dovuto rimanere sconosciuto. Non era una situazione semplice, all’epoca la Legge non ammetteva scappatoie, sia Giacomo Puccini sia Elvira rischiavano di essere arrestati per il reato di adulterio".
Un passo indietro. Giacomo Puccini ed Elvira Bonturi si erano conosciuti e amati intensamente da pochi mesi. Ma il problema è che Elvira era già sposata con un commerciante di Lucca, Narciso Gemignani, da cui aveva avuto due figli, Fosca e Edgard. E proprio per sfuggire a questa situazione la coppia fedifraga, soprattutto dopo che la donna aveva scoperto di aspettare un bambino da Puccini, aveva deciso di venire al Nord. Elvira aveva portato con sé Fosca e aveva abbandonato a Lucca il piccolissimo Edgard.
Dopo vario peregrinare e "continui cambi di domicilio", Giacomo ed Elvira avevano trovato casa a Monza. In corso Milano una piccola targa al numero civico 18 indica ancora oggi la casa-rifugio dei due amanti. "I due concubini si nascondevano, ma Giacomo decise di assumersi l’onere della paternità di questo figlio pur non avendo ancora conosciuto il successo che lo avrebbe reso un giorno ricco e famoso". L’autrice ha analizzato e studiato tantissime lettere. "Puccini era un grafomane, ufficialmente di lui sono state riconosciute circa 12mila lettere, ma si suppone ne abbia scritte almeno 20mila. Molto interessanti quelle che riguardano gli anni monzesi del musicista. Ciò che se ne deduce è che almeno inizialmente Elvira avesse in mente di tornare a casa dal marito legittimo. Quando era partita, aveva lasciato intendere che sarebbe andata a lavorare come dama di compagnia in Sicilia. Come spesso accadeva all’epoca in situazioni simili, ne avrebbe approfittato per partorire e lasciare il figlio della colpa a una delle sorelle di Puccini". Non andò così. "Quel piano fu scombussolato dagli eventi e come è accaduto spesso nella vita di Puccini, il compositore ha lasciato che il caso decidesse per lui. Il marito di Elvira non denunciò nessuno, probabilmente puntava lui stesso a farsi un’altra vita. E la convivenza di Giacomo ed Elvira divenne stabile". Le lettere raccontano tutto. Puccini scriveva tantissimo e a molte persone, era molto esplicito anche sui risvolti intimi della sua vita. "Quest’epistolario è importantissimo, perché in filigrana si vede il canovaccio, rielaborato artisticamente, di molte delle opere che avrebbe composto nella sua fortunata carriera". Una vita tormentata. "La parentesi monzese, con tutte le sue difficoltà, il freddo e gli stenti, le suonate al pianoforte nelle ville dei ricchi brianzoli o i corredi ricamati da Elvira per le fanciulle di buona famiglia per sbarcare il lunario compongono un importante puzzle della loro vita, ci sono lettere scritte a Ramelde, una delle sorelle in cui raccomanda che la parola Monza non venga mai pronunciata nemmeno in famiglia, perché come dice lui, ‘potrebbero succedere cose gravissime’. Ci sono poi lettere agli amici che frequentavano la casa di Monza, che ironicamente avevano ribattezzato Il Castello e in cui si ritrovavano a mangiare, approfittando anche della possibilità di avere a disposizione un’ottima cuoca toscana come Elvira, a cui Puccini si premurava nonostante le ristrettezze di far arrivare l’olio toscano, dato che quello che trovava in Brianza noo era di suo gradimento per preparare ad esempio le zuppe di fagioli di cui andava ghiotto".
Aspetti di vita anche gustosi, un po’ fra la Bohème e la commedia. "Come quando racconta di quella volta in cui il fratello Michele, che viveva con lui, Elvira e i bambini, andò a vendere un uccellino con tanto di gabbia al mercato per procurarsi i soldi necessari a comprarsi da mangiare". Perché questo libro? "Tutto nasce dal ritrovamento di una vecchia valigia in cui erano conservati diversi documenti inediti, scritti da Puccini, fra cui un “dossier” che faceva finalmente luce su alcuni aspetti controversi della sua vita e che erano stati fin ra tramandati in modo non veritiero. Ad esempio il suicidio di Doria, la giovane cameriera di casa Puccini, la cui responsabilità fu sempre addossata a Puccini e a una sua presunta relazione con quella povera ragazza. E invece non andò per nulla così. Temi che in qualche maniera si sarebbero trovati poi nella Turandot, l’ultima opera di Puccini".