DARIO CRIPPA
Cronaca

La grande estorsione. Quando presero di mira il “signor Star”. Ma il colpo fu un flop

"Portateci 300 milioni o saranno guai, non abbiamo niente da perdere". Ma il piano sgangherato concepito dalla moglie di uno dei banditi. si concluse davanti a un carabiniere salito sull’auto della vittima.

La chiamarono l’Armata Brancaleone. Nel senso di scalcinati, dilettanti. Perché provarono a mettere in piedi un’estorsione ai danni di un personaggio molto in vista del ricco territorio brianzolo, ma in maniera così sprovveduta da incappare in una serie impressionante di errori e farsi arrestare tutti.

Siamo nel 1976. La vittima prescelta è Danilo Fossati, industriale, 49 anni, figlio del fondatore dello stabilimento Star di Agrate Brianza, di cui al momento dei fatti è l’amministratore delegato. Un personaggio molto noto nel mondo imprenditoriale e anche in quello dell’ippica, sua grande passione, dato che possiede una scuderia di trottatori tutta sua. Ma anche un benefattore, capace all’epoca dei fatti di donare un miliardo di lire all’ospedale San Gerardo destinato ai reparti che curano patologie infantili. E che anni dopo, nel 1980, scandalizzato dalle tonnellate di alimenti sprecati ogni anno da aziende come la sua, avrebbe dato vita assieme a un prete brianzolo, don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, a quella che oggi è ormai diventata una grande istituzione benefica come il Banco Alimentare. Insomma, un uomo buono e purtroppo anche un perfetto bersaglio per criminali senza scrupoli. Accade così che un giorno per posta agli uffici della Star giunge una lettera dattiloscritta, ovviamente anonima, in cui si minacciano gravi conseguenze per la famiglia Fossati e contro l’azienda qualora non venga pagata la cifra di 300 milioni di lire. "Signor Fossati – si legge in una lettera un po’ maldestra e quasi imbarazzante nei toni e nella forma – siamo un gruppo di persone disposte a tutto. Non avendo più niente da perdere tentiamo il tutto per tutto. Se non vuole attentati alla sua vita oppure a qualcuno della sua famiglia, senza avvisare i carabinieri altrimenti sarà peggio per lei, la invitiamo a disporre la somma di 300 milioni entro mercoledì sera.

Per altre informazioni sarà avvisato nella mattinata dello stesso giorno. Pertanto la raccomandiamo di non parlarne con nessuno. La avvertiamo nuovamente che per urgente bisogno di soldi siamo anche disposti ad uccidere senza pensarci due volte. Nel frattempo si tenga a nostra disposizione. Se non vuole guai cerchi di tenere la cosa segretissima". All’inizio, Danilo Fossati non sembra dar retta alla lettera, probabilmente gli è già capitato di ricevere richieste assurde nella sua vita. Qualche giorno più tardi, però, agli uffici della Star cominciano ad arrivare anche alcune telefonate minatorie. In cui vengono ribadite le stesse minacce della lettera, con la “promessa“ che verranno mese in pratica a meno che la famiglia Fossati non decida di cedere al ricatto e paghi la somma richiesta. A questo punto, ovviamente, l’atteggiamento dell’industriale cambia e l’uomo decide di chiedere aiuto ai carabinieri. Il loro consiglio è quello di stare al gioco e di mettersi a disposizione per preparare una trappola. E così la trattativa va in porto, anche se i criminali non sanno che il telefono ora è sotto controllo. "L’appuntamento - dice lo sconosciuto nella sua ultima telefonata - è per la notte di giovedì. Metti i soldi in due valigie e deponile ai piedi del cartello che indica la fermata di Concorezzo della linea tranviaria Milano-Vimercate". A questo punto, scatta però la trappola. Qualche ora prima di quella concordata, sul posto si presentano decine di militari in borghese.

La notte è buia, piovigginosa, non si vede a un palmo dal naso: l’ideale per i ricattatori. Ed è allora che da una stradina laterale sbuca una vettura, quella di Danilo Fossati, ben nota ai banditi, e ne scende un uomo che, a passo rapido, porta le valigie piene delle banconote chieste dai banditi. Dentro in realtà c’è solo carta da giornale, foderata da vere banconote per trarre in inganno i delinquenti. E, ovviamente, la figura che scende dalla macchina tutta intabarrata non è quella di Danilo Fossati, ma appartiene a un ufficiale dei carabinieri. Che depone le due valigie ai piedi del cartello come da istruzioni e risale in macchina allontanandosi rapidamente. Non passa molto tempo che alla fermata si presenta un’auto con a bordo tre uomini, il volto coperto da un passamontagna. Uno di loro scende, si avvicina alle valigie e le solleva per trasportarle sulla sua macchina. Non ce la farà, perché in un battibaleno addosso si ritrova un nugolo di carabinieri armati fino ai denti che intimano: "Fermi tutti, non muovetevi!". I tre vengono arrestati senza nemmeno avere il tempo di provare a reagire. Dopo poco in manette finirà anche una donna, prelevata dalla sua abitazione: è la moglie di uno dei tre banditi. In casa, i carabinieri troveranno la macchina da scrivere utilizzata per scrivere la lettera minatoria. Al processo in primo grado vengono inflitti quattro anni e sei mesi di reclusione alla donna, più dei tre anni e mezzo e 300mila euro di multa chiesti dalla pubblica accusa; si tratta di una ragazza di 19 anni di origini siciliane e, secondo gli inquirenti, il piano era proprio partomdella sua mente.

Al marito, 24 anni, origini pugliesi, vanno invece tre anni e sei mesi (il pm aveva chiesto solo 3 anni e 200mila euro di multa)

Se la cavano invece con il perdono giudiziale i due minorenni, 17 anni ciascuno, incaricati di effettuare le telefonate. I due coniugi, sposati da poco e residenti in Brianza, vivevano praltro già da separati.

Grottesco e a tratti burrascoso il processo. Con l’uomo che prima sbotta accusando la moglie del piano, ma poi ritratta. E la donna che prova a scagionarsi accollando tutta la responsabilità al marito, mentre il suocero urla infuriato in aula sino a farsi cacciare dal Tribunale nel tentativo di difendere il figlio dalle accuse della moglie. In appello le pene verranno lievemente ridotte.