Monza – In città, da quando la sua nomina è stata resa pubblica, monsignor Marino Mosconi è già venuto in ricognizione diverse volte. È una persona seria, del resto, un docente universitario, un giurista, e sa che assumere l’incarico di arciprete non sarà una passeggiata. Con quasi duemila anni di storia alle spalle (768 a.C.) e prerogative vescovili come mitria, anello, bastone pastorale e persino il privilegio di una scorta armata (gli Alabardieri) che condivide solo con il pontefice. Un ruolo unico anche se innegabilmente più sbiadito rispetto a quando la parola di un arciprete poteva far tremare anche un sindaco. Monsignor Marino Mosconi sarà il nuovo arciprete di Monza. La presa in carico è per il 6 settembre a Seveso, mentre l’ingresso ufficiale a Monza sarà il 20 ottobre, alla presenza dell’arcivescovo Delpini.
Un milanese a Monza?
"Sono nato nel 1964 all’ospedale Macedonio Melloni di Milano, ma sono cresciuto a Paderno Dugnano. Mio padre, che era di Palazzolo Milanese, era capo officina a Cinisello, ma è morto quando era giovanissimo, ad appena 48 anni; mia madre faceva la sarta, ha 87 anni e vive ancora a Paderno, dove abita anche mio fratello con la sua famiglia. Non sono monzese, ma un po’ di sangue brianzolo c’è: mia madre è originaria di Limbiate. E io? Ho studiato all’istituto tecnico Galvani di Milano e dopo il diploma nel 1983 sono entrato in Seminario".
Non è stata l’unica svolta...
"Mi sono specializzato in Diritto canonico a Roma alla Pontificia università gregoriana, la scuola dei Gesuiti, su spinta dell’allora arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini".
Ed è la sua specialità, ha scritto saggi, ha fatto da giudice del tribunale ecclesiastico.
"Ordinato sacerdote nel 1990, ho sempre esercitato nelle parrocchie di Milano, e in Curia a Milano ero cancelliere arcivescovile, ma ho sempre mantenuto il contatto con i miei studi: insegno tuttora Diritto canonico nelle università di Milano e Venezia. E intendo continuare".
Ora Monza, parroco di tutti i parroci del territorio…
"Cambio vita. Non è stata una decisione inaspettata, si parlava da tempo di una nuova vita pastorale e quella di Monza era un’opzione all’orizzonte".
È pronto?
"Mi porterò il bagaglio dei miei studi giuridici, l’aspetto dello studio è un canale di dialogo fondamentale. Entrare negli Atenei, luoghi di dibattito, è una ricchezza e un’opportunità da non perdere".
La vita pastorale in parrocchia la intimorisce?
"Per nulla, sono sempre stato nelle parrocchie, per 30 anni sono stato assistente ecclesiastico degli scout".
Conosceva Monza?
"Non molto, anche se ovviamente ci ero già stato, ho insegnato al Pime di via Lecco e sono stato al Collegio Villoresi".
La ricognizione a Monza?
"Dopo la notizia della mia nomina, sono venuto già diverse volte, in fondo fra sacerdoti finisce che ci si conosce un po’ tutti".
Sarà arciprete, sta studiando?
"È una storia molto antica, in Brianza c’è un retroterra religioso molto forte anche se le cose sono cambiate e le difficoltà che sta vivendo la Chiesa sono evidenti dappertutto".
I Monzesi sono un po’ riottosi, Sant’Ambrogio scosse la polvere dai calzari lasciando la città che non aveva voluto abbracciare il Rito ambrosiano…
"Nessun timore, affermare la propria identità è un’esigenza importante: non è un problema, ma piuttosto una ricchezza".
Per Monza, l’arciprete era motivo d’orgoglio......
"Un ruolo diverso per il sottoscritto, ha le sue peculiarità insieme al fatto che a Monza appunto vige il Rito romano. È una unicità, ma Monza non è un paese... è una città, non lontana da Milano, qui è stata aperta la seconda linea ferroviaria d’Italia dopo quella di Napoli-Portici: un segno di apertura e connessione".
Quella dell’arciprete è una figura ancora importante?
"È sempre stata una figura decisiva per la vita cittadina, anche se sta attraversando una fase di trasformazione: sappiamo cosa c’è alle sue spalle ma ancora non sappiamo cosa ci sia nel suo futuro".
Una volta disse che "come tutti i milanesi, prima ancora di imparare a camminare ho imparato a correre"...
"Nel senso che da milanese – ma anche in Brianza credo non sia molto diverso – ho sempre avuto uno spirito iperattivo, educato a fare tutto e a darmi da fare, l’ho imparato sin da piccolo".
È sopravvissuto al Covid.
"Ci ha messo tutti a dura prova e io sono stato uno dei primi sacerdoti ad ammalarsi quando ancora non se ne sapeva molto: la febbre calava con la tachipirina ma poi risaliva in continuazione, poi ho cominciato a perdere la sensazione del gusto. Il mio medico di base non usciva in visita e non riuscivo a farmi fare il tampone finché non ho cominciato ad avere difficoltà respiratorie e mi sono accorto della gravità. A quel punto per fortuna ho conosciuto la sanità ospedaliera, che è venuta a sopperire alle falle di quella di base…".
L’ospedale, il casco, intubato per 15 giorni...
"Sono stato ricoverato per un mese al Policlinico di Milano in cui ho rasentato la morte e sono stato a lungo sedato in stato di semi incoscienza, ma dentro di me però mi sentivo sereno, mi affidavo a Dio e sentivo il sostegno della preghiera, la Fede mi ha dato speranze tirandomi fuori dalla disperazione. E ne sono uscito".
Un po’ di leggerezza: segue il calcio? E per chi tifa?
"Mi piace e tifo per la prima squadra di Milano”".
Ce ne sarebbero due...
"Ma solo una è la prima e porta il nome della città".
Sempre restando all’orgoglio dei Monzesi, la loro squadra ora è in Serie A, anche se ce l’ha portata un milanista come Silvio Berlusconi...
"E pure il monzese Adriano Galliani".
È preparato. Verrà allo stadio?
"Perché no?"
E tiferà per il Monza?
"A patto che non giochi contro il Milan".