"Attenzione alle pandilla. Ho avuto a che fare con loro a Milano come magistrato (da magistrato istruì uno dei primi processi, sul banco degli imputati la gang dei Mara Salvatrucha, ndr) e so quanto possano essere feroci. Ho seguito il caso del ragazzo aggredito di recente ai giardinetti del Nei da tre giovani ecuadoriani che si ispiravano ai Latin King e sto con gli occhi sempre aperti come una sentinella".
Ambrogio Moccia, magistrato di lungo corso, ha portato la sua esperienza anche come assessore alla Sicurezza di Monza. E anche se di pandilla fortunatamente per il momento non sembra esserci traccia in città, un problema giovanile c’è, "a Monza negli ultimi 4 mesi la polizia locale ha fermato circa 50 ‘maranza’". Si affida a un termine riportato “anche dall’Accademia della Crusca” Moccia per definire "il ragazzo o la ragazza, che appartiene a gruppi di giovani che condividono e ostentano atteggiamenti da strada, particolari gusti musicali, capi d’abbigliamento e accessori appariscenti e un linguaggio spesso volgare".
Si spieghi...
"Si tratta di ragazzi tra i 13 e i 18 anni che spesso fanno riferimento a una sorta di capobranco che ha 20-22 anni e prendono possesso del centro con atti di vandalismo, micro-delinquenza, bullismo".
Chi sono?
"Italiani e stranieri, indifferentemente. Spesso italiani di seconda generazione.
E anche ragazze italiane che non sono solo spettatrici lusingate e compiacenti, ma a volte vere e proprie ispiratrici, con un tasso di aggressività non solo verbale: il bullismo si veste al femminile".
Da dove provengono?
"È sbagliato pensare che questi ragazzi provengano esclusivamente dalle classi sociali meno abbienti o da famiglie con fragilità, il problema è trasversale. E non è solo monzese, molti vengono da fuori città e scelgono Monza e il suo centro come ‘palcoscenico’ per richiamare l’attenzione e fare scandalo".
L’approccio scelto dal suo assessorato non è soltanto muscolare.
"Ma anche dialogante. Come il grande rivoluzionario della non violenza, Martin Luther King, anche io ho un sogno. Sogno una società e, in particolare, una città di Monza in cui non si pensi che i bivacchi e le scorrerie si contrastino con falangi di poliziotti impegnati in frequenti raid della serie “andate via di qua” (corollario: andate a bivaccare e scorrazzare in periferia, basta che il “salotto buono” si presenti bene), ma si pensi che la presenza assidua di forze di polizia sia accompagnata dall’intervento di operatori di strada che ascoltino il malessere che sta alla base di invadenza e maleducazione".
E quindi?
"I ragazzi e le loro famiglie vengono convocati per un colloquio negli uffici della polizia locale. Gli agenti spiegano ai genitori che i loro figli hanno bisogno di essere seguiti prima che il loro malessere si radichi. E mi auguro che questo approccio stia funzionando e stia dando qualche frutto, il numero di episodi sta calando, spero non solo perché ci sono le ferie".
I genitori?
"Purtroppo non tutti reagiscono bene, ma alcuni si mostrano infastiditi dalle chiamate della polizia locale, minimizzano l’utilizzo di canne e alcol da parte dei loro figli.
Ma per fortuna la maggioranza collabora e vorrebbe dare qualche scapaccione. Il ricorso alla violenza da parte dei ragazzi è a volte preoccupante. Mi ha colpito il caso di un giovane preso a colpi di mazza da baseball in testa in un bar del centro. Il pericolo è che se questi ragazzi non trovano alcuna opposizione, la violenza diventi per loro quasi una forma di dipendenza come quella dall’alcol o dalle sostanze stupefacenti. E il livello della violenza, il gusto, si auto-alimenti e si alzi".
C’è speranza?
"Un ragazzo ha denunciato, una fessra nel muro di omertà e sfiducia nelle istituzioni si è aperta e che speriamo ora si apra un varco sempre più grande".