"Di carceri ne ho girate una quindicina, da Poggio Reale fino a Bolzano, ma una paura così non l’ho mai avuta. Mi hanno bloccato almeno in quattro come Cristo in croce sulla barella, mi hanno colpito con pugni in pieno volto e sui fianchi e poi mi scaricato senza sensi e mezzo nudo in una cella vuota". Umberto Manfredi, 52enne, collaboratore di giustizia nel processo ai Casalesi in Veneto, è stato sentito ieri al Tribunale di Monza come parte civile nel processo che vede 4 uomini e 1 donna della polizia penitenziaria accusati a vario titolo di lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d’ufficio e omessa denuncia per averlo picchiato nell’agosto 2019 mentre era detenuto nel carcere di Monza. Una vicenda denunciata alla Procura di Monza dal Garante per i diritti delle persone private della libertà e dall’associazione ‘Antigone’ per la tutela delle garanzie nel sistema penale e penitenziario, che ne aveva avuto notizia da un famigliare del detenuto e che a sua volta è parte civile al dibattimento. "Ero nella sezione protetti del carcere ma giravano dei fogli con articoli su di me, quindi ho chiesto di venire trasferito altrove - ha spiegato il pentito - invece mi hanno messo nel reparto osservazione, da solo, in una cella 3x2, faceva caldo. Mi dicevano che presto me ne sarei andato ma erano tutti in ferie e a fine luglio ero ancora lì. Allora ho iniziato a fare prima lo sciopero della fame e poi anche della sete e mi portavano avanti e indietro dall’infermeria in barella perché non riuscivo più neanche a camminare".
Il 3 agosto il fatto contestato. "Mi hanno riportato giù dall’infermeria, ma ho visto che giravano non verso l’osservazione, ma verso l’isolamento - ha spiegato - ho chiesto perché e mi sono agitato. Il mio errore è stato mettere giù una gamba dalla barella per fuggire ed è stato il putiferio". Secondo l’accusa il detenuto è stato colpito a pugni e schiaffi da un agente, mentre altri lo tenevano fermo. Per poi farlo cadere dalla barella una volta arrivati in cella, dove è stato lasciato dolorante, con gli occhi lividi, il volto tumefatto e un dente rotto. "Poi sono passate la direttrice e la comandante della polizia penitenziaria e non hanno fatto niente". C’è un video dell’accaduto estratto da alcune telecamere nei corridoi del carcere che mostra l’agente che schiaffeggia il detenuto ma, secondo la difesa degli imputati, le telecamere non hanno ripreso, per un cono d’ombra nella registrazione, il momento precedente in cui il detenuto avrebbe sferrato un calcio al volto di un agente. A dire degli imputati le lesioni non sono state causate da una violenta aggressione da parte degli agenti, che sostengono di avere soltanto ‘contenuto’ il detenuto agitato, ma dalla caduta dopo il trasferimento in cella e da un’azione di successivo autolesionismo. Nell’esposto presentato da ‘Antigone’ veniva ipotizzato anche il reato di tortura a carico degli indagati e la responsabilità di un medico penitenziario per rifiuto di atto di ufficio, accuse invece cadute.