
Al convegno dell’Ordine dei Medici l’esperienza di chi si occupa di detenuti e ne scopre patologie dimenticate
Patologie della bocca e dei denti; malattie infettive, psichiche, disturbi da utilizzo di sostanze stupefacenti e poi traumi osteorticolari dovuti a incidenti e storie di violenza.
Sono alcune delle patologie che incontra il medico che lavora in carcere. Lo ha spiegato la dottoressa Elisabetta Chiesa, responsabile della Sanità penitenziaria alla Casa circondariale Sanquirico (diretta da Cosima Buccoliero), nel convegno, promosso dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Monza e della Brianza presieduto da Carlo Maria Teruzzi. "Sono responsabile del servizio da agosto 2021 - spiega la dottoressa - lavorare in carcere è un’esperienza sconvolgente e appassionante. È un ambiente molto complesso che un medico non immagina come prospettiva lavorativa".
Gli oltre 700 detenuti di Sanquirico provengono dai margini della società e spesso non hanno mai curato la propria salute. Il curante scopre malattie preesistenti, mai curate e silenti: malattie dermatologiche, respiratorie, cardiovascolari, gastrointestinali, scabbia e diabete. Il carcere, con tutte le sue limitazioni, diventa per molti la prima opportunità per venire a contatto con il Servizio sanitario nazionale. "Il medico - continua la dottoressa - è il primo operatore, subito dopo la polizia penitenziaria, con cui i detenuti vengono in contatto appena entrano. Sono spaventati, hanno in mente mille pensieri. Non interessano gli screenig per le malattie infettive, il 50% rifiuta il prelievo di sangue, per timore che il rilevamento di sostanze stupefacenti o alcol possa impattare sul verdetto del giudice. Abbiamo scoperto che un detenuto era sieropositivo solo due mesi dopo l’ingresso, durante una visita di routine. La prima visita è fondamentale, ma non sufficiente". Le persone, nelle interminabii ore in cella, cominciano a preoccuparsi della propria salute e cercano il medico, invocando l’urgenza, anche solo per noia, per uscire dalla cella. Qualcuno, non assumendo più stupefacenti avverte il dolore di una carie o per un trauma osteoarticolare causato da una vecchia rissa.
Il medico è presente al carcere di Monza lungo le 24 ore. L’assistenza è equiparabile a quella del territorio, anzi, anche più veloce. È supportata dal Servizio tossicodipendenza (Sert) e dal servizio psichiatrico 5 giorni alla settimana. È in corso lo screening per l’epatite C. Su 690 detenuti (età media 40 - 45 anni) ha aderito il 50%, con un tasso di positività del 7% (inferiore alla media nazionale della popolazione carceraria, che è il 9%). Prevale l’uso di sostanze e la patologia psichiatrica. La salute può essere motivo di sospensione della pena o misure alternative. Perciò alcuni sospendono eventuali terapie per aggravare le proprie condizioni e chiedere di uscre; alcuni sono autolesionisti a rischio suicidio; diffuso lo sciopero della fame per rivendicazioni o per ottenere benefici.