La storia di Ivan: "Sepolto da un carico di quasi dieci quintali"

Sopravvissuto, ora si batte per la prevenzione

La storia di Ivan: "Sepolto da un carico di quasi dieci quintali"

Ivan Ghironzi di Desio è presidente provinciale di Anmil l’associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro

"Ero a Torino con il camion della mia azienda. Stavamo consegnando dei quadri elettrici. Ho allentato la prima cinghia e tutto bene. Dopo la seconda ho sentito un rumore sordo, sono finito terra e un quadro elettrico da 10 quintali mi ha schiacciato. Sono rimasto inerte e ho pensato “adesso muoio e non vedrò più mia moglie e mia figlia“". Ivan Ghironzi, di Desio, presidente di Anmil (Associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro) Monza e Brianza riavvolge il nastro dei ricordi e racconta il suo incidente come autotrasportatore: "La mattina del 22 ottobre 1992 sono uscito di casa con le mie gambe e il 30 giugno del 1993 ci sono rientrato in carrozzina. La vita ti si rivolta come un calzino". Fu prima trasportato all’ospedale Le Molinette di Torino, poi al Centro traumatologico per tentare di intervenire sulla lesione midollare, ma senza successo. Ivan è intervenuto all’approfondimento organizzato dal Comitato consultivo provinciale Inail Monza in occasione della Settimana europea per la salute e sicurezza sul lavoro. Lo ha salvato la sua corporatura robusta e il fatto di cadere sulla spalla e quindi lo schiacciamento è stato laterale. "Grazie all’aiuto della mia famiglia ho trovato la forza di reagire – racconta – e anche un altro lavoro, dopo 4 anni di cure. Un grazie lo devo anche allo sport, tanto che sono arrivato a partecipare alle Paralimpiadi". Nel 2003 gli è stato proposto di dedicarsi allo slittino e poi all’hockey su ghiaccio preparandosi alle Paralimpiadi di Torino del 2006. "Nei 5 incontri preparatori abbiamo preso 57 gol senza farne neanche uno – scherza Ivan –, mentre nelle gare paralimpiche ne abbiamo fatti 3, ma gli avversari erano veramente forti: Norvegia, Canada, Giappone, Gran Bretagna. L’importante non era vincere, ma esserci. È stata un’esperienza che ti resta dentro. Lo sport mi ha dato una nuova vita. In particolare l’hockey mi ha dato la possibilità di viaggiare in tutto il mondo, come non avrei mai pensato". Il Teatro Officina ha recuperato le storie di altre vittime degli incidenti sul lavoro che non hanno potuto raccontarli personalmente.

La storia di Giovanni Cattaneo, che negli anni ‘50 faceva il serpentatore alla Falk. Il suo lavoro consisteva nell’afferrare il serpente di acciaio semilavorato e inserirlo nell’apposito foro della ventola. "I miei colleghi – racconta la rievocazione – bevevano vino per farsi coraggio, io no. Gli incidenti erano all’ordine del giorno. Ma quando capitò a me fu un caso. Era mezzanotte. Chiacchieravamo tra colleghi, quando un filo incandescente mi si è attorcigliato ad una gamba, trascinandomi nella fossa. Sono svenuto. Sentivo in lontanaza i colleghi che mi chiamavano. Mi sono risvegliato in ospedale. L’infermiera mi guarda e tace. Mi guardo attorno. Non c’è più la scarpa, non c’è più neanche il piede. Chissà se potrò ancora portare mia moglie a ballare il sabato sera...". Una madre racconta la storia del figlio Andrea che nel 2014, a 23 anni, lavorava alla Asoplast di Ortezza (Ascoli Piceno) ed è rimasto schiacciato da una macchina da stampa tampografica (per stampare su superfici concave e convesse), definita “macchina killer“ perché più volte partiva da sola mentre era in stand-by, come ha testimoniato un collega ormai in pensione.

C.B.