Monza – Da oltre 20 anni è immersa nel mondo degli adolescenti. In ambito scolastico, nei centri di aggregazione, nelle società sportive. Con migliaia di loro ha parlato, si è confrontata, li ha “allenati“ alla gestione delle emozioni e delle relazioni. Tiziana Boldrini, educatrice, mediatrice famigliare e mental coach, che collabora anche col Seregno Basket, conosce bene cosa può portare alla devianza giovanile. E alle baby gang.
Quali sono le motivazioni che spingono gli adolescenti a unirsi in gruppi per comportamenti violenti o di bullismo?
"Alcuni lo fanno per un’appartenenza culturale, altri per una sorta di continuità familiare, le più frequenti sono legate a necessità economiche, a contesti familiari problematici, al desiderio di anticonformismo, per solitudine, ignoranza, emulazione, per il piacere di trasgredire e rompere le regole. I ragazzi iniziano perché sono soli, perché sono attirati da quella sensazione di forza e potenza che li fa sentire invincibili".
In che modo l’ambiente familiare e sociale influisce?
"È piuttosto frequente e facile pensare che le cause risiedano in condizione di vita difficile, in contesti di degrado o abbandono, seppure la povertà e la fragilità siano terreno fertile, ci ritroviamo con membri di baby gang appartenenti ad uno status medio alto ove il controllo e la presenza degli adulti è altrettanto manchevole. I ragazzi stanno tanto tempo soli, nelle loro stanze, sui loro dispositivi, e accedono sempre più in giovane età a contenuti violenti senza strumenti per fronteggiarli. Sono attirati dai soldi facili, dai bei vestiti o anche solo dall’idea di essere qualcuno".
Può descrivere il ruolo dei social media e della tecnologia in queste dinamiche?
"Il problema è la solitudine nella quale vivono i ragazzi, i riferimenti adulti che mancano, la carenza educativa, non il social in sé. I social divengono gli strumenti di divulgazione del loro potere e bisogno di riconoscimento della loro grandezza. Sui social comunicano, creano relazioni che agli adulti sono del tutto sconosciute".
Quali sono i segnali precoci d’allarme?
"La ripetitività di comportamenti prepotenti, violenti, antisociali, arroganti. La reiterazione di reati, la loro gravità. L’interruzione del percorso di studio, il disimpegno sui diversi fronti e abbandono precoce della scuola, il rifiuto delle regole famigliari, scolastiche e sociali, il tutto magari associato al consumo di sostanze o alcol".
Quali strategie di prevenzione possono essere adottate per contrastare questo fenomeno?
"Insegnare fin da subito ai nostri bambini a riconoscere ciò che è pericoloso. Cercare di fare rete fin intorno a quei bambini che incontriamo nei vari contesti e aiutarli ad avere dei riferimenti validi, affettivi, educativi che gli permettano di non cadere nella rete delle baby gang. Essere degli adulti presenti ed educanti".
Cosa possono fare i genitori per riconoscere e affrontare comportamenti problematici nei loro figli?
"Innanzitutto esserci senza delegare a terzi la crescita emotiva dei figli. Per riconoscere dei comportamenti devianti è necessario avere un controllo sui propri figli, essere presenti nella loro vita, sapere di loro e stare con loro, ascoltare e dialogarci. È necessario chiedere aiuto sin da subito. Molti genitori tendono a sminuire o a vergognarsi e arrivano ad affrontare la questione troppo tardi".
In che modo il gruppo e la ricerca di appartenenza influiscono sulle decisioni individuali degli adolescenti?
"L’adolescente vive nel e per il gruppo dei pari. Quando un ragazzo entra in un gruppo di questo tipo lo fa spesso perché ha bisogno di riconoscimento e di costruire un’appartenenza, un’identità. Si inizia con un bisogno, spesso non riconosciuto, di colmare e assenze e si aggiunge il bisogno non trascurabile tipico dell’età, di trasgressione e adrenalina".
Come si può intervenire una volta che un giovane è già coinvolto in una baby gang?
"Fosse facile la risposta! Semplificando direi chiedere aiuto. Innanzitutto alle forze dell’ordine, nelle quali sono presenti figure esperte in materia. Coinvolgere la famiglia e metterla in contatto con psicologi e con essi quante più possibili agenzie educative quali la scuola, lo sport, organizzazioni sul territorio".