Ha lavorato per 6 anni come collaboratore scolastico in Brianza prima che si accorgessero che il diploma che aveva presentato alla firma del contratto non era adeguato e lo licenziassero. Ma il bidello non dovrà restituire i 44mila euro di stipendi perché ha comunque svolto il lavoro ed era compito delle amministrazioni scolastiche eseguire veloci controlli sul suo curriculu. A schierarsi a favore del collaboratore scolastico era stata Uil Scuola Lombardia, che parla di "sentenza epocale".
A ricorrere contro il bidello era stata la Procura Regionale, a seguito della segnalazione del Dirigente di un Istituto scolastico, chiedendo la restituzione degli stipendi percepiti nei 6 anni di servizio svolti prima al Comprensivo di Ornago Burago e poi a quello di Vimercate. L’accusa mossa al dipendente licenziato era quella di avere incluso tra i titoli in suo possesso un diploma ritenuto non idoneo a consentire l’accesso al servizio. Ma il bidello non dovrà restituire un euro. "Occorre valutare in sede erariale l’effettiva esistenza o non esistenza del danno, lasciando alla sede penale o amministrativa ogni altra valutazione in punto di antigiuridicità. Il danno per le casse pubbliche non vi sarebbe stato perché l’amministrazione scolastica nel tempo ha pagato per prestazioni rese con modalità incontestate. La responsabilità, semmai, ricade sui dipendenti dell’amministrazione scolastica che avrebbero dovuto con maggiore tempestività effettuare i controlli sul possesso dei requisiti". Secondo la Corte dei Conti "il contratto di lavoro fondato su titolo illegittimo non è contratto affetto da causa illecita sempre e comunque, perché il diritto privato preferisce ormai alla teoria della causa astratta la prospettiva della causa in concreto, che deve tenere conto della effettiva volontà del lavoratore di adempiere le prestazioni tipiche della sua mansione.
La posizione del lavoratore che ha comunque prestato il servizio in modo diligente deve essere tutelata dai principi di tutela del lavoro in tutte le sue forme e di garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione. Ciò impone il pagamento delle prestazioni di fatto rese". Per tutte queste ragioni, ha concluso il collegio di giudici erariali, è auspicabile il "superamento dell’interpretazione ostativa in materia, quanto meno a fronte di prestazione routinarie che non richiedono titoli di elevata specializzazione".