
Dany Locati
Villasanta (Monza e Brianza), 17 luglio 2016 - "Il giorno in cui sono nata, il 3 gennaio del 1977, ci fu una gran nevicata... il mio destino era già segnato!". Dany Locati scherza per spiegare come una ragazza cresciuta in pianura come lei, a Villasanta, sia riuscita a trasformarsi in quella che gli esperti ribattezzarono "la Regina delle Nevi". In uno sport appannaggio degli specialisti del profondo Nord come lo skeleton, uno slittino che si pilota a testa in giù a velocità folli, 130 chilometri orari o suppergiù.
Spieghi ai profani, cos’è lo skeleton? "La Formula uno degli sport invernali... e un “cugino” dello slittino".
Cosa serve per praticarlo? "C’è innanzitutto una componente atletica, la fase di spinta dello slittino è importante (all’epoca detenevo la quarta spinta mondiale!), anche se i miei punti di forza erano la guida e...".
E? "L’incoscienza, riuscivo bene dove altri avevano timore. In gara, l’impatto con l’aria ti fa rallentare, e quindi meno alzi la testa a guardare il tracciato e più veloce riuscirai ad andare...".
E quindi? "A costo di rischiare, alzavo la testa il meno possibile per guardare la pista. Non avendo materiali di prim’ordine a disposizione, supplivo così al gap con le avversarie".
Cosa c’entra la “Formula Uno”? "Lo skeleton è ricerca della perfezione e devi calcolare tutto: pattini e assetto in base al ghiaccio e curve da affrontare".
La macchina (lo slittino) è come un figlio? (sorride) "Io gli davo anche un nome!".
Parliamo delle sue origini... atleti anche in famiglia? "No. Padre impiegato, madre di Bordeaux, un fratello maggiore".
Madre francese? Dany allora non è un diminutivo? "(ride) Per nulla, mi chiamo proprio così, con l’accento sulla “y”e ci tengo!"
E come ci è finita... su uno slittino? "Sono sempre stata una sportiva, nuoto, atletica, tennis, non so stare ferma... finché non è arrivato lo skeleton".
Come? "Grazie a un progetto nelle scuole di Monza dell’insegnante Pia Grande (compianta donna di scuola e assessore allo sport, ndr): davano l’opportunità di provare gli sport meno comuni, dal tiro con l’arco alla vela... e io, che ero uno scricciolo, decisi di cimentarmi con lo skeleton".
Timori? "(ride) Ricordo l’incontro preliminare dei tecnici coi miei genitori: mio padre sbiancò, mia madre si mise le mani nei capelli... erano terrorizzati, ma io volevo assolutamente provare".
E andò bene, direi... "Ricordo ancora la prima discesa, fu incredibile, emozionante, era come essere a Gardaland sulle montagne russe... ti prende alla sprovvista, ma di giro in giro ti diverti sempre più: avevo 18 anni e avevo trovato il mio sport!".
Si diceva, ci vuole un pizzico di incoscienza. "...ma solo all’inizio, poi deve essere tutto perfetto. Velocità? Il mio record è di 347 chilometri orari".
Chissà che paura, con la testa proiettata in avanti... "È la posizione naturale del bambino, lo slittino è più pericoloso!".
Però... "La paura ti fa mantenere sempre alta la concentrazione: non per niente da una gara, che dura al massimo un minuto e mezzo, esci stremata!".
Infortuni? "Solo botte e tagli... in Lettonia terminai una gara col mento pieno di sangue, per la pressione dell’aria contro il ghiaccio mi ero tagliata contro la scocca della slitta. Colpa mia, mi ero alzata troppo presto a guardare la pista".
Ci vuole un fisico bestiale... "(ride) Una volta mi sono rotta le costole... per uno starnuto! La nuova stagione stava per cominciare e i miei muscoli erano super in forma quando mi buscai un brutto raffreddore. E così bastò uno starnuto particolarmente violento per... incrinarmi una costola!".
Non fu l’unico incidente della sua carriera. "Ho perso la sensibilità a un dito: per riparare più in fretta una scocca in vetroresina della slitta usai un flessibile e... mi levigai un dito".
Scocca da riparare, flessibile? Non mi starà dicendo che lo faceva lei? "(ride) Le federazioni più ricche hanno il meccanico di squadra, per i più poveri non ti resta che diventare meccanico di te stesso, te la devi cavare, ricordo che andavo persino nei porti a studiare le barche e a parlare con i marinai".
Ripercorriamo il suo palmarès. "Sei titoli italiani, un 8° posto a Koenigsee in Germania (il mio miglior risultato ai Mondiali) e il 9° in classifica generale. In Coppa del Mondo invece il 6° raggiunto ad Alternberg, il mio miglior risultato agli Europei".
Capitolo Olimpiadi: un fantastico nono posto a Salt Lake City negli Stati Uniti. "Partecipare a un’Olimpiade è bellissimo, ti trasformi e lo dice una che ne ha fatta una da atleta, una da apripista e due da tecnico".
Nel 2006 la sua delusione più grande, fallì per un soffio la qualificazioni alle Olimpiadi invernali di Torino, in casa. Era considerata la più forte... "Nulla da recriminare. L’ho persa io quella qualificazione, non è facile da accettare ma è lo sport. E ho capito che una medaglia non ti cambia la vita ma si aggiunge allo scatolone delle coppe...".
E dopo? "La Federazione Sport Invernali mi ha chiesto di allenare".
Non le è mai mancato il carattere: un giorno ha pure restituito una medaglia! "(sorride) Era il 2002, ero appena tornata dalle Olimpiadi in Usa e si disputavano i campionati italiani, dove peraltro avevo sempre vinto io. Nel viaggio di ritorno però la mia slitta rimase sull’aereo...".
E cosa fece? "Me ne venne data una sostitutiva: alla prima manche andò tutto bene, ero prevedibilmente in vantaggio, ma alla seconda manche, mentre stavo vincendo a mani basse, si accorsero che il peso della nuova slitta era di un chilo oltre i limiti. E mi dissero che la mia medaglia d’oro doveva essere declassata ad argento...".
E lei come reagì? "Mi rifiutai. “Squalificatemi - dissi io -. Se la slitta è irregolare, io questa medaglia non la merito”. E la restituii".
Una volta disse: mi piace lo skeleton perché il cronometro vince sempre. E il doping? Negli ultimi tempi sono stati scoperti alcuni casi... "Un fenomeno che subentra quando uno sport viene portato al limite. Però attenzione, il doping non fa di un asino un Varenne".
Ma può aiutare qualche furbetto... "Mi piace pensare che quando sei in gara e appoggi la slitta sul ghiaccio, chi ti è amico - o nemico - è soltanto il cronometro. E fa male sapere che uno degli ambienti che credevi puliti in realtà non lo è più: quella dello skeleton era una grande famiglia, c’era scambio di opinioni fra atleti, quando per la prima volta nella storia di questo sport venne ammesso in Federazione anche un rappresentante degli atleti mi ritrovai eletta a mia insaputa. Io, che venivo da una piccola Nazione, mi ero conquistata il rispetto internazionale".
Torniamo alle Olimpiadi di Torino: pur avendo mancato la qualificazione, scese comunque in pista. "Feci da apripista in una delle settimane più belle e insieme più brutte della mia vita. Volli partecipare ugualmente a un evento così grande, davo dritte a miei compagni in gara, facevo il suggeritore, era il mio modo per aiutare la squadra... anche se quando ti danno il pettorale e sopra non c’è un numero come al solito fa male, molto male".
Alle Olimpiadi ci è tornata da allenatrice. "A Vancouver 2010, dove sono riuscita a portare per la prima volta per l’Italia uomini e donne a un’Olimpiade in questa disciplina, e Sochi 2014. Ho tentato di migliorare un sistema che quando avevo iniziato io era un po’ all’età della pietra".
È stata dura smettere? "Lo sport è una droga e smettere non è mai facile, all’improvviso non sai più cosa fare, hai un momento di smarrimento. E ti chiedi: cosa fanno gli esseri umani normali? A volte è difficile chiudere una porta e aprirne un’altra. Specie per uno sport per fare il quale avevi fatto ogni genere di lavoro, dalla ragazza che consegna le pizze alla giardiniera".
Tanti sacrifici? "Preferisco dire scelte, ho fatto quello che mi piaceva e ho vissuto gli anni più belli e intensi della mia vita".
Cosa fa oggi? "La commessa e da poco... la store manager per una grossa azienda di abbigliamento sportivo".
La felicità per l’atleta Dany Locati? "In gara la cosa più bella è quando scendi e senti di andare veloce, senza errori e sai che stai facendo tutto in maniera perfetta. E allora nel casco sorridi prima ancora che la slitta sia ferma e tu conosca il tuo risultato. Vede?".
Cosa? (mostra una fotografia) "Quando guardo le mie vecchie foto di gara, me ne accorgo, capisco se quella volta stavo sorridendo... perché quando sei solo e stai ancora decelerando e hai ancora il vento nelle orecchie, anche se non hai ancora visto il cronometro sai se la tua discesa è stata perfetta".