GABRIELE BASSANI
Cronaca

Luca Attanasio e il prezzo della verità, la famiglia: "Sì al risarcimento, pensiamo alle bimbe"

Svolta all’udienza davanti al giudice di Roma per l’agguato in Congo dell’ambasciatore brianzolo. La famiglia Attanasio accetta l’indennizzo e non è più parte civile

L'arresto dei presunti killer e l'ambasciatore Luca Attanasio

Scaduti i termini, lo Stato italiano non sarà parte civile nel processo in corso a Roma per la morte dell’ambasciatore Luca Attanasio. E contestualmente la famiglia dell’ambasciatore d’Italia in Congo, originario di Limbiate, che fu ucciso in un agguato durante un trasferimento interno, il 22 febbraio 2021 insieme al carabiniere di scorsa Vittorio Iacovacci e al loro autista Mustapha Milambo, esce dal processo accettando il risarcimento offerto dal Pam dell’Onu. Quella dello Stato di rinunciare a essere parte civile è "una scelta incomprensibile e per noi carica di dolore" , dice Salvatore Attanasio, padre di Luca, che ha spiegato anche le ragioni dell’accordo economico raggiunto dalla famiglia. La terza udienza davanti al Gup, che vede imputati l’italiano Rocco Leone e il congolese Mansour Rwagaza, è durata oltre 5 ore. In concomitanza con la discussione nell’aula del Tribunale, sia a Limbiate che a Roma si sono svolte manifestazioni di protesta per chiedere verità e giustizia su questa vicenda.

All’uscita dal Tribunale, piuttosto provato, Salvatore Attanasio, ex ingegnere in pensione di 71 anni, spiega la scelta dell’accordo per la rinuncia a essere parte civile: "Abbiamo dato priorità al futuro delle bambine, le tre figlie di Luca e Zakia. Una decisione che abbiamo preso insieme, solo ed esclusivamente pensando alle tre bambine. Siamo formalmente fuori dal processo come parte civile, ma vogliamo restarci assolutamente per tutti gli aspetti penali della vicenda, è mia intenzione seguire tutte le prossime udienze". Poi Salvatore si sfoga contro la decisione del Governo. "Oggi abbiamo appreso con sgomento che lo Stato Italiano ha deciso di restare fuori da questo processo e addirittura che in questi due anni non ha mai chiesto la revoca dell’immunità diplomatica riservata ai due funzionari Onu che sono a processo. Un atteggiamento che lascia davvero sconfortati. È l’atteggiamento di uno Stato vassallo che piega la testa davanti ai poteri forti e che ha saputo mostrare la schiena dritta solo durante il processo in Congo contro i cinque disgraziati accusati di essere gli autori materiali dell’agguato. Qui c’è un intreccio di interessi delicato, che coinvolge Onu, Fao e Pam e il nostro Stato si tira indietro. Mi chiedo quale sia l’interesse nazionale più alto che difendere l’onore del Paese. Per me, si devono solo vergognare".

Uno sfogo durissimo, senza freni, che arriva dopo che l’ultima speranza di vedere un segnale di vicinanza concreta delle istituzioni in questa vicenda processuale è svanito con la scadenza dei termini, al terzo rinvio dell’udienza, quello in cui il Gup ha accolto quasi tutte le richieste di costituzione di parte civile, tra cui quella della famiglia Iacovacci, di alcune associazioni per i diritti civili e la cooperazione internazionale e quella del Comune di Limbiate, unica istituzione italiana ad avere fatto questa scelta, rivendicata con orgoglio dal sindaco Antonio Romeo (Forza Italia). Il processo vede imputati Leone e Rwagaza con le accuse di omesse cautele e omicidio colposo per aver falsificato la documentazione di viaggio omettendo la presenza dell’ambasciatore e del carabiniere nel convoglio rimasto vittima dell’agguato.

Nell’udienza di ieri c’è stato lo stralcio della posizione di Rocco Leone, un passaggio tecnico che si è reso necessario per evitare il blocco del processo nei confronti del funzionario italiano, dato che il suo collega congolese risulta attualmente irreperibile e quindi non perseguibile per mancata notifica, particolare anche questo che ha suscitato una certa indignazione tra i famigliari delle vittime. La difesa di Leone intanto ha già eccepito l’immunità diplomatica, sulla quale ha chiesto di ribattere il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, titolare dell’indagine. Il sospetto che più di qualcosa si stia muovendo a livello internazionale per far chiudere e dimenticare in fretta la vicenda è forte anche in quanti ieri mattina manifestavano in centro a Limbiate, con cartelli e slogan, così come davanti all’ingresso del Tribunale di Roma. Il processo è stato rinviato al prossimo 14 settembre.