Monza- "Quando decidemmo di cominciare, nel febbraio del 2011, affittammo la Sala Maddalena a Monza temendo di aver preso un luogo troppo grande. Aveva 120 posti, e invece… invece ci ritrovammo davanti a 250 persone". Monza e la Brianza avevano appena scoperto di essere terra di ‘ndrangheta, colonizzata, "l’invasione degli Ultracorpi" secondo una definizione dell’allora sostituto procuratore Walter Mapelli, morto 5 anni fa. "E quella sera alla nostra prima assemblea, oltre allo storico Enzo Ciconte, a sorpresa venne anche lui, Mapelli. Ci fece molto piacere, si mise subito a disposizione, avrebbe fatto tanto per sostenere la battaglia contro la criminalità organizzata". Tredici anni fa nasceva la prima cellula monzese di “Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, creatura fondata da don Luigi Ciotti diventata un autentico caposaldo della lotta contro le mafie. E a parlare è quello che sino all’altro giorno a Monza ne è stato il referente, quasi un pioniere: Valerio D’Ippolito, 74 anni, ex sindacalista, calabrese della provincia di Cosenza (Serre Pedace, pre-Sila). Che ora ha deciso di passare la mano nel suo incarico, "anche se continuerò a darmi da fare con Libera".
Un bilancio?
"Personalmente, lavorare come volontario in questa associazione mi ha restituito qualcosa che avevo come rimosso dalla mia coscienza: la ‘ndrangheta. Da calabrese trapiantato al Nord, mi sentivo in debito.
In 13 anni cosa è cambiato?
"Ci siamo consolidati, ormai siamo una realtà effettiva, sono contento che al mio posto arrivi una giovane donna, un’insegnante, perché sono sempre più convinto che solo le donne potranno portarci fuori da questo pantano. E noi dobbiamo sostenerle e valorizzarle".
Una donna aveva provato a ribellarsi al potere delle cosche: Lea Garofalo, uccisa a Milano e bruciata a Monza.
"Ho seguito tutte le udienze del processo in Appello. Tutte. Mi scattò l’interruttore, la scintilla e decisi di abbracciare la sua storia di coraggio e ribellione".
L’operazione Crimine-Infinito poco prima…
"Fu emblematica, è come se la Brianza si fosse accorta all’improvviso del problema, e si chiedesse ‘ma come è possibile? C’era così tanta ‘ndrangheta a casa nostra?’ Qui arrestarono una cinquantina di persone".
Scoprirono 25 Locali in Lombardia, 6 solo in Brianza.
"Dopo quel brusco risveglio, bisognava fare qualcosa e decidemmo di cavalcare l’onda".
Cosa è cambiato?
"La Brianza ha aperto gli occhi, come Libera abbiamo fatto un grande lavoro nelle scuole (3-4mila studenti incontrati ogni anno, ndr) ci hanno seguito o sono nate tante associazioni, anche se il rischio di autoreferenzialità è sempre forte quando si parla di un fenomeno così vasto e complesso anche dal punto di vista socio culturale come la criminalità organizzata. Ma più si è, più si fa e meglio è".
Cosa manca?
"Nel mondo istituzionale, economico, delle imprese, dell’artigianato, delle associazioni di categoria c’è ancora molta paura a parlare di questo problema. Come se si temesse di mettere in cattiva luce l’immagine del territorio, senza rendersi conto che è esattamente il contrario e che quando arrivano le inchieste della magistratura e delle forze dell’ordine è già troppo tardi".
C’è ancora qualche tarlo che tormenta Valerio D’Ippolito?
"A volte mi chiedo come mai soltanto al Sud ci siano imprenditori che si ribellano (pagandone anche le conseguenze, ndr). E al Nord invece questo non accade, nessuno parla, anzi dalle inchieste vengono fuori sempre nomi di imprenditori che sono scesi a patti con la criminalità organizzata, che sono collusi.
La domanda che mi faccio è appunto perché: ci vuole coraggio, a questo in Brianza e al Nord ancora latita, anche nel mondo della politica e dei colletti grigi".